20080407

Felice semplicità

Tratto da:

Lettera sulla Felicità a Meneceo - Epicuro

Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'animo nostro.
Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età.

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Cerchiamo di conoscere allora le cose che hanno la felicità, perché quando essa c'è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per possederla.

Prima di tutto considera l'essenza del divino materia eterna e felice, come rettamente suggerisce la nozione di divinità che ci è innata. Non attribuire alla divinità niente che sia diverso dal sempre vivente o contrario a tutto ciò che è felice, vedi sempre in essa lo stato eterno congiunto alla felicità.

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Poi abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L'esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, senza l'inganno del tempo infinito che è indotto dal desiderio dell'immortalità.

La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c'è, i morti non sono più.

Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non viver più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie il migliore, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce.

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Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro. Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente s'avveri, né allo stesso modo disperare del contrario.

Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.

Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell'animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall'ansia.

Una volta raggiunto questo stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell'animo e del corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.

Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere o del dolore.

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Consideriamo inoltre una gran cosa l'indipendenza dai bisogni non perché ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l'abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo.

In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi, l'inutile è difficile. I sapori semplici danno lo stesso lo stesso piacere dei più raffinati, l'acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca.

Saper vivere di poco non solo porta salute e ci fa privi d'apprensione verso i bisogni della vita ma anche, quando ad intervalli ci capita di menare un'esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e indifferenti verso gli scherzi della sorte.

Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero o lo avversano o lo interpretano male, ma quando aiuta il corpo a non soffrire e l'animo ad essere sereno.

Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'anima causa di immensa sofferenza.

Chi suscita più ammirazione di colui che ha un'opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente procacciabili, che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti se lo fanno a lungo vuol dire che si possono sopportare?

Questo genere d'uomo sa anche che è vana opinione credere il fato padrone di tutto, perché le cose accadono per necessità, o per arbitrio della fortuna, o per arbitrio nostro.
La necessità è irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi biasimo e lode.

La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa, la divinità non fa nulla a caso, e neppure qualcosa priva di consistenza.
Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l'avvio a grandi beni o mali.

Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato.

Non sembra nemmeno più mortale l'uomo che vive fra beni immortali.


A mio modestissimo parere un pensiero tutt'altro che facile da capire in profondità e tanto meno da attuare perché molto ascetico.

Oltre ai concetti molto stimolanti mi ha stupito moltissimo che questo maestro filosofo, che viveva in maniera morigerata e frugale, fosse stato calunniato pesantamente e avesse moltissimi nemici.


Accuse infondate le loro perché moltissime testimonianze attestavano la sua bontà d'animo e generosità anche verso la patria.

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