20080609

L' "energia nucleare" di Apollinaire

Tratto da:

La lentezza - Milan Kundera

L'immagine del tizio col panciotto gli è rimasta conficcata nell'anima come una scheggia e non riesce a liberarsene; il che è tanto più fastidioso in quanto sta cercando di sedurre una donna: come sedurla, infatti, se tutti i suoi pensieri sono concentrati su quella scheggia che gli fa male?

Lei si accorge del suo cattivo umore:

«Dove sei stato tutto questo tempo? Pensavo che non saresti più tornato. Che avessi deciso di mollarmi.»

Vincent capisce di non esserle indifferente e questo attenua un poco il dolore che gli provoca la scheggia. Ricomincia a fare il seduttore ma lei rimane sulle sue:

«Non raccontarmi storie. Improvvisamente sei cambiato. Hai incontrato qualcuno che conosci?»

«Ma no, ma no» dice Vincent

«Ma sì, ma sì. Hai incontrato una donna. E ti prego, se vuoi andare con lei, va pure. Mezz'ora fa non ti conoscevo nemmeno e posso benissimo continuare a non conoscerti.»

Julie è sempre più triste, e per un uomo non vi è balsamo più efficace della tristezza da lui stesso causata a una donna.

«Ma no credimi, non c'è nessuna donna. C'era un rompicoglioni, un emerito cretino con il quale ho avuto una discussione. Tutto qui, ti assicuro.»
E le accarezza la guancia con tanta sincerità, con tanta tenerezza che i sospetti di lei svaniscono.

«Fatto sta che sei completamente diverso Vincent»

«Vieni» fa lui e la invita ad accompagnarlo al bar. Vuole strapparsi la scheggia dall'anima con un torrente di whisky. L'elegantone col panciotto è ancora lì, insieme ad altre persone. Non ci sono donne con lui e questo riconforta Vincent: perché con lui c'è Julie che gli sembra ogni momento più carina. Ordina ancora due whisky, gliene porge uno, beve rapidamente il suo, poi si china verso di lei:

«Guarda è quello là, quel cretino col panciotto e gli occhiali.»

«Quello? Ma Vincent è una nullità, una nullità assoluta! Come puoi preoccuparti di lui?»

«Hai ragione, è un malchiavato, è un anticazzo, è un senzapalle.» dice Vincent e gli sembra che la presenza di Julie lo allontani dalla sua sconfitta, perché la vera vittoria, la sola che abbia un valore, è la conquista di una donna rimorchiata a tempo di record nell'ambiente lugubremente anerotico degli entomologi.

«Una nullità, una nullità, te lo assicuro» ripete Julie.

«Hai ragione, se continuo ad occuparmi di lui divento cretino come lui» e lì, accanto al bar, davanti a tutti, la bacia sulla bocca.

Fu il loro primo bacio.
Poi escono nel parco, passeggiano, si fermano e si baciano di nuovo. Trovano una panchina in mezzo al prato e si siedono.

Si ode in lontananza il mormorio del fiume. Sono turbati e non sanno il perché.

«Un tempo nei castelli come questi si facevano delle orge. Nel Settecento sai. Sade, Il Marchese de Sade. La filosofia del Boudoir. Lo hai letto?»

«No»

«Devi leggerlo assolutamente. Te lo presterò, è una conversazione fra due uomini e due donne nel bel mezzo di un orgia»

«Sì» dice lei.

«Sono tutti e quattro nudi e fanno all'amore tutti insieme.»

«Sì»

«Ti piacerebbe vero?»

«Non so» dice lei, ma più che un rifiuto, c'è in quel "non so" la commovente sincerità di una modestia esemplare.

Non è così facile strappar via una scheggia, Si può dominare il dolore, rimuoverlo,fingere di non pensarci più, ma simulare è faticoso. Se Vincent si accalora tanto parlando di Sade e delle sue orge, più che per corrompere Julie lo fa per cercare di dimenticare l'affronto che ha dovuto subire dall'elegantone col panciotto.

«Ma sì che lo sai» dice, e di nuovo la stringe a se e la bacia. «Lo sai benissimo che ti piacerebbe» e vorrebbe citarle frasi, descriverle situazioni di quel fantastico libro intitolato La filosofia del Boudoir.

Poi si alzano e continuano la passeggiata. Appare la grande luna uscendo dall'intrico del fogliame, Vincent guarda Julie e, tutt'a un tratto, si sente stregato: quella luce bianca conferisce alla giovane donna la bellezza di una fata, una bellezza che lo sorprende, una bellezza nuova di cui finora non si era accorto, bellezza fine, fragile, casta, inaccessibile.

E di colpo, senza neppure rendersi conto di come sia accaduto, si immagina il suo buco del culo. Improvvisamente, inopinatamente, ha questa immagine davanti agli occhi e non può sbarazzarsene.

Ah, quel liberatorio buco del culo! Grazie ad esso l'elegantone col panciotto (finalmente, finalmente!) si è dileguato una volta per tutte. Quel che non sono riusciti a fare tre whisky, l'ha saputo fare in solo secondo un buco del culo!

Vincent abbraccia Julie, la bacia, le palpa il seno, contempla la sua delicata bellezza di fata e contemporaneamente non smette un attimo di immaginare il suo buco del culo. Ha una voglia tremenda di dirle: «Ti tocco il seno ma penso continuamente al tuo buco del culo» Ma non può, la parola non esce dalla bocca. Più pensa al buco del culo di Julie e più lei è bianca, trasparente, angelica, di modo che gli risulta impossibile pronunciare quella frase ad alta voce.

...

Il buco del culo. Si può chiamarlo, in un altro modo per esempio come Guillaume Apollinaire: la nona porta del corpo.

Della sua poesia sulle nove porte del corpo della donna esistono due versioni: la prima, Apollinaire la inviò alla sua amante Lou in una lettera scritta in trincea l'11 maggio 1915; la seconda la inviò dallo stesso luogo a un'altra amante, Madeleine, il 21 settembre dello stesso anno.

Le due poesie, belle entrambe, sono diverse per ideazione ma hanno identica struttura: ogni strofa è dedicata ad una delle porte del corpo dell'amata: un occhio, l'altro occhio, un orecchio, l'altro orecchio, la narice destra, la narice sinistra, la bocca, poi, nella poesia per Lou, "la porta delle tue natiche", e, infine, la nona porta, la vulva,.

Ma nella seconda poesia, quella per Madeleine, interviene alla fine un curioso scambio di porte. La vulva viene retrocessa all'ottavo posto e il buco del culo, che si apre tra "due montagne perlacee" diventa la nona porta "più misteriosa ancora delle altre", porta "di sortilegi che neanche si osa nominare", la "porta suprema".

Penso a quei quattro mesi e dieci giorni che separano le due poesie, quattro mesi che Apollinaire ha trascorso in trincea, immerso in intense fantasticherie erotiche che l'hanno portato a questo cambiamento di prospettiva, a questa rivelazione: è il buco del culo il punto in cui si concentra miracolosamente tutta l'energia nucleare della nudità.

La porta della vulva è importante, certo, (e chi oserebbe negarlo?) ma troppo ufficialmente importante; un luogo registrato, classificato, controllato, commentato, esaminato, sperimentato, sorvegliato, cantato, celebrato.

La vulva: rumoroso crocevia in cui si incontra la garrula umanità, tunnel attraverso il quale passano le generazioni. Solo gli stolti si lasciano convincere dell'intimità di questo luogo, il più pubblico di tutti. L'unico luogo veramente intimo è il buco del culo, la porta suprema; suprema perché la più misteriosa, la più segreta.

A questa sapienza, che è costata ad Apollinaire quattro mesi sotto un firmamento di granate, Vincent è pervenuto nel corso di una sola passeggiata con Julie resa diafana dal chiaro di luna.




Se una donna mi dice: ti amo perché sei intelligente, perché sei onesto, perché mi fai dei regali, perché non corri dietro alle altre, perché lavi i piatti, ci rimango male; il suo amore mi sembra interessato. Quanto è bello sentirsi dire: sono pazza di te sebbene tu non sia né intelligente né onesto, sebbene tu sia bugiardo, egoista e mascalzone!


Un libro chiaro e, perchè no, anche pieno di realtà, mi è piaciuto perché ironico, a tratti divertente e un po' (è il caso di dirlo) paraculo.

:)

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