20090326

Sarà per te

Fin da bambina, abitando a Firenze, ho sempre sentito parlare dei pratesi in maniera poco lusinghiera per una questione di campanilismo e "spocchia" che caratterizza il fiorentino DOC.

Frequentando Prato ho avuto modo di apprezzare sia l'efficienza, sia l'ottima organizzazione cittadina.

I pratesi sono dei grandi lavoratori.

Questo basta perché abbiano la mia totale stima.

Il mio vuol essere un augurio perché la loro principale attività sia salvata e anche un bentornato ad un importante artista del cinema italiano.


Madonna che silenzio c'è stasera (1982)





20090317

... poche parole




L'aquila e la Luna - Nicola Lisi

L'aquila emigrata da altre terre, dopo aver scorrazzato a lungo su una catena di montagne, trovò in una fenditura coperta, sulla più alta cima, la tana bramata. Aguzzando gli occhi nel vuoto si disse: - Ecco che veramente sono diventata regina: il mio dominio è su tutto e tutti. In quel mentre da un'altura di faccia si svincolò la Luna piena, per trionfare dopo alcuni istanti in cielo e sulla terra. Allora l'esaltazione orgogliosa dell'aquila si cangiò in una umiliazione insopportabile. Come ora le sembrava di trovarsi in un luogo basso e oscuro! Volle innalzarsi fin sopra a lei. Si librò in aria proseguendo maestosa, ma nonostante il perfetto accordo dell'orgoglio con la volontà, giunse tempo in cui, prostrata dalla stanchezza, non poté continuare nel volo.
Senza più alcuna speranza si abbandonò al cedimento dell'aria riequilibrandosi soltanto allorché vide tremolare sotto di sé, nello sconosciuto mare, quella che credette un'altra Luna. - Su di te almeno mi poserò, - gridò l'aquila ributtandosi in basso a capofitto e aggiustando i rostri per agguantarla. Fu presa invece dai flutti e subito divorata dai cupidi pesci.

L'alto annichilisce il superbo, e la sua potenza, riflessa in basso, lo attira e lo punisce.

20090311

Cultura "retrò"



Il mio primo libro erotico l'ho letto per puro caso all'età di 13 anni. Il motivo principale era la curiosità per qualcosa che ancora non conoscevo ma per cui, indubbiamente, provavo un certo interesse. Col passare degli anni ho continuato ad appassionarmi a questo genere di letture e ancora, con il mio avvio "all'atto pratico" (che in questo caso però non mi riguarda) ho riservato il mio interesse a cercarne una sorta di "origine storica".

Nella letteratura erotica si ritengono i Sonetti Lussuriosi di Pietro Aretino come l'avvio alla pornografia e credo che questa definizione nasca soprattutto dal tipo di linguaggio che l'Aretino usa (esplicito).
Un secolo prima di lui però vi erano altrettanti scritti proibiti che usavano molto spesso prendere di mira il clero con l'immaginabile conseguenza di scomunica e accuse di blasfemia.
Erano scritti prevalentemente in latino per una sorta di prudenza essendo una lingua dotta che non tutti potevano comprendere.
Quello che riporto a titolo esclusivamente culturale è un brano tratto da Liber Facetiarum, scritto tra il 1438 e il 1452 da Poggio Bracciolini.
Più che l'aspetto "pruriginoso" del breve racconto mi piace sottolineare l'ironia e lo scherno ai danni dell'ignoranza.

Una brevissima premessa ai fini della più completa comprensione del profilo letterario: in vari sonetti del tempo la sodomia è "riservata". Ad esempio in uno di quelli scritti da Aretino si legge che alla donna decisa ad averlo «in cul» l'amante risponde che non vuole macchiarsi di questo peccato «perché questo è un cibo da prelato».


Uno dei nostri villici, un tipo non troppo sveglio, prese moglie senza avere neppure un po’ di esperienza in pratiche d’amore. Il caso volle che una notte, a letto, quella volgesse schiena e natiche al marito, premendoglisi contro, al punto che con il membro costui giostrò l’occasione senza pensarci su molto. Felicissimo del risultato, domandò alla donna se davvero avesse due fiche, e alla sua risposta affermativa «benissimo», disse, «una mi basta, l’altra è d’avanzo». La furbacchiona, che se la faceva col piovano del quartiere, ribatté: «Perché non ne facciamo elemosina? Dammi retta, doniamola alla Chiesa e al nostro caro piovano, che ne sarà contentissimo; e a te non verrà nessun danno, visto che una sola ti è bastante». L’uomo si mostrò d’accordo […] così, dopo un invito a cena e il resoconto del caso, se ne andarono a letto in tre, con la donna nel mezzo, il marito davanti e il piovano dietro, perché si potesse godere il regalo. Il prete, affannato e voglioso della pietanza tanto ambita, attaccò battaglia per primo sul fronte riservatogli, il che mandava in sollucchero la donna, facendole lanciare qualche gridolino. Temendo allora un’invasione di campo, il marito avvertì: «Rispetta i patti, amico, e serviti della tua parte senza toccar la mia!» e il prete: «Che Dio mi riguardi! Perché dovrei occupare i tuoi possedimenti quando posso sfruttare i beni della Chiesa?».

20090308

Festa della Donna


Tratto da:

Sola come un gambo di sedano - Luciana Littizzetto

Questioni di cesso

Basta con sta festa della donna. Ammucchiamo queste maledette mimose e facciamo un falò. Ormai ci siamo emancipate. Siamo uguali agli uomini. Ci viene l'infarto anche a noi. Cosa vogliamo di più? La prostata, forse? O la barba... visto che i baffi già ce li abbiamo... Un esempio per tutti. La questione bagno. Sulla gestione quotidiana del cesso si scatenano delle vere guerre sociali. Sono anni ormai che lui e lei lottano per avere gli stessi diritti. Risultato? Parità assoluta. Uno a uno. Come mai proprio sulla toilette si scatenano le bufere? Non è difficile. Perché il bagno è un tempio. Un luogo sacro dove si celebrano i riti personali più svariati. Eh sì, perché nel bagno non si va mica solo a fare. Nel bagno si sta. Il bagno è un pensatoio. Io sono convinta che le sue strategie militari Napoleone le escogitasse proprio qui. Il problema sta nella permanenza. Una volta entrati non si esce più. Hai voglia a bussare. Altro che Grande Fratello. Manca solo la Marcuzzi. E l'asse del water? Loro la lasciano su. E noi? Due volte su tre ci accomodiamo sulla ceramica gelida e malediciamo il giorno in cui ci siamo fidanzate. A meno che loro non siano della banda della goccia e a noi tocchi far pipì in bilico come le guide alpine. Loro si tagliano le unghie dei piedi sparandole ovunque come boomerang e noi lasciamo i capelli in giro come liane. E poi c'è la polemica del dentifricio. noi che siamo creative lo schiacciamo a caso, da metà, dall'alto, come un brufolo, come un campanello. E loro si imbufaliscono... loro, che lo spremono da anni con certosina precisione dal basso verso l'alto. Peccato che tutto 'sto puntiglio non lo mettano nel fare la doccia. Le loro docce sono alluvioni. Disastri naturali. Tocca chiedere lo stato di calamità. Ripicca migliore non c'è che usare il loro rasoio per depilarci i polpacci. Noi facciamo tric tric e loro... sbrat... si scarnificano come Scarface. Io lo faccio sempre, ma di nascosto, perché se lui mi becca mi gira la testa al contrario come si fa per uccidere i polpi.



Tette e matite


Esperimento fallito, porca di una miseria...non l'avrei mai detto. Mi sentivo così sicura, così piena di me e invece... sarà stato un caso? Boh, io intanto col cavolo che ci riprovo. A far cosa? La prova matita. Quella per verificare la prestanza delle tette. Vuoi sapere se il tuo è ancora un seno che può dare qualche soddisfazione? Fai così.
Prendi una matita e sistemala lì sotto. Se cade, tutto ok. Vuol dire che le tue tette se ne stanno ancora su, belle tronfie e sparate verso il cielo in atto di ringraziamento. Se invece la matita rimane incastrata là sotto come in un portapenne naturale, allora attenta a quelle due perché non tarderanno a deluderti.
Io devo essere disossata perché una matita cade e l'altra rimane incastrata. Vuol dire che sono dissociata anche in fatto di tette? Non ci posso credere. Ho provato persino con un pennarello di quelli indelebili, per il vetro... uguale!
Secondo me è l'esperimento che è poco attendibile. No, dico... metti che sei piatta come un vassoio... chiaro che la matita cade... non ce l'hai il seno, sei piallata come una tavola da windsurf.
Chissà se la Marcuzzi ha mai fatto l'esperimento! Mi sa che a lei sotto le tette stanno intere confezioni da venti quattro di pastelli a cera a punta larga.
Certo che siamo piene di fisse. Gli uomini mica la fanno la prova matita. Magari a quindici anni sperimentano il sistema metrico decimale calcolando la lunghezza della loro virilità ma poi la smettono. Noi no. Siamo severissime con noi stesse e poi accomodanti come una cuccia d'anguria quando si tratta di uomini. Diciamola questa verità. Per dire... Lucy adesso sta con uno che ha cento denti di cui almeno una diciottina non sono suoi. sembrano fatti di latte condensato. Molly flirta con un infermiere che fa i prelievi e ci ha la faccia da Nosferatu e Cresy con una specie di Mister Bean ma più brutto. Se ne vedono proprio di cozze e di crude.

Donna baffuta sempre piaciuta. Ma a chi?

è inutile foderarsi gli occhi con la pancetta. Fare finta che non sia vero. Madre natura ha deciso così. Anche noi donne, come gli uomini, abbiamo i baffi. Forse un po' meno, a volte, ma li abbiamo.
Una mia vecchia zia era così baffuta che sembrava Che Guevara. Cosciente dell'orrore, l'universo delle femmine si divide in tre grandi fazioni. Quelle che dicono: «Se li ho, serviranno». Per cosa? Per riparare il labbro dalle correnti d'aria o per sistemarci le luminarie di San Giovanni? Allora fai così. Tienteli pure. A Carnevale fai direttamente il sergente Garcia, che è una maschera che piace sempre tantissimo. Poi ci sono le donne di centro che invece optano per l'asportazione del pelo. Striscie di miele, rasoio, cesoie. In fondo rancarsi via i baffi è più facile che curarsi il beriberi. Ma purtroppo rimane ancora un gruppo di fesse indefesse. Di femmine trapanate nella testa. Quelle che i baffi li tingono. Quell'ossigeno che non arriva ai loro cervelli finisce sotto i lori nasi. E la cosa terribile è che non si tingono mai le bionde o le squinzie dai capelli dorati. No. Il tinteggiamento è prediletto dalle brune. Le vedi al mercato. Son tarocchi di Barbie con lo scalpo nero come la pece e spighe di grano sotto il naso. Brutte Cucinotte con deliziosi orsetti di peluche aggrappati alle narici. Ma dài, ...
Certo, così non siamo noi stesse al cento per cento. Ma siamo sicure che il nostro cento per cento sia così straordinario e imperdibile? Dubito. A una festa di compleanno mi sono avvicinata la mio amico Pino grande tombeur de femmes, che se ne stava annoiato in un angolo come in attesa del pullman, e gli dico: «Pino? Come va?».
E lui: «Stasera scogliera».
«Come scogliera?»
«Solo cozze.»
Crudele? No. Sincero. Smettiamola di credere che basti come siamo fatte dentro. Siamo noi che baciamo i rospi e quelli diventano principi. Non il contrario, purtroppo.


Anno nuovo, vita identica.

Anno nuovo. Vita? Tendenzialmente identica. Con qualche certezza in più. Tipo Cindy Crawford che nella pubblicità di un aspirapolvere ci fa sapere che detesta gli acari. Fantastico. Doveva venire lei col suo neo dall'America per dircelo. Pensare invece che noi andiamo pazze per gli acari. Li alleviamo con orgoglio negli orli dei tappeti. Con gioia lasciamo che si riproducano negli anfratti del camino. Vai Cindy... torna pure nell'Illinois e, se puoi, portati anche quella bietola di Richard Gere con le sue praline.
Che stanchezza. Non so più cosa sia la tolleranza. Sarà stata la magia del Natale. Eh, sì. D'altra parte sono una donna... E cosa fa una donna durante le feste? Si sfrange l'anima e il corpo. Con una mano ritira la tredicesima e con l'altra paga le bollette, compra i regali ai figli, fa il presepe, addobba l'albero, salda la rata del riscaldamento, sistema le camere per i parenti, fa la spesa, corre dalla parrucchiera, fa il pieno alla macchina, appende il vischio alla porta, cura l'acetone del figlio piccolo che si ammala sempre durante le feste, spedisce gli auguri di Natale ai colleghi del marito, mette a mollo le lenticchie, compra i petardi per il Capodanno e, per non perdere tempo, con una scopa legata al sedere, spazza il parquet.
E l'uomo? Sto balengo? Si mette il costume rosso e la barba bianca e fa Babbo Natale. Stop. Sto grandissimo minchione. Poi gioca tutto il tempo con i figli e dice: «la mamma di giocare non ne ha più voglia perché non è rimasta bambina come me!».
Tu non sei rimasto bambino, amore mio invertebrato, sei rimasto cretino... capisci? Son quelle tre o quattro letterine che fanno la differenza. Per te, amore mio, il massimo della trasgressione è dormire senza mutande... lo sai, fragolina mia di bosco che sei come il prosciutto di spalla coi polifosfati. A mangiarlo non è che muori ma a lungo andare ti danneggi la salute. Ah, dimenticavo. Le vedi quelle corna scintillanti rimaste sotto l'albero? Sono per te.

Su la testa.

C'è un segnale inequivocabile. Un'azione apparentemente innocua. Un piccolo gesto che annuncia che... ok, hai cominciato finalmente a prendere la tua vita tra le mani: è quando riesci a dire al tuo parrucchiere che il taglio che ti ha fatto fa schifo. Che persino la cavia peruviana di tua cugina è pettinata meglio. Che la frangia non te l'ha scalata, te l'ha mozzata come una coda di un mulo e che, per non dare nell'occhio, non ti rimane che ragliare. Che se quella che ti ha fatto è una tinta, che vada a graffitare le metropolitane di Milano, Che persino le siepi di agrifoglio tremerebbero all'idea di farsi potare da lui.
Prima o poi ci farò un libro: Lo Zen e l'arte di mandare a stendere il tuo parrucchiere. Devo spiegarlo io? I capelli di una donna sono il termometro della sua anima. Quando una purilla sta male, cosa fa? Va dal parrucchiere. Prima ancora che dall'analista. Mette quel che ha di più vuoto tra le mani del coiffeur e si abbandona fiduciosa. E magari, all'improvviso, l'incoscienza gli dice la fatidica frase: «Fai tu.»
Dire a un parrucchiere «fai tu» è un po' come decidere di fare boungee jumping senza elastico. Armato solo del suo ego colossale, come un boia al patibolo, lui darà mano alle forbici e taglierà. Tanto. Quei bei tagli asimettrici, sfilacciati, impettinabili, portabili al massimo in sfilata a Milano Collezioni. E mentre mieterà e falcerà ti dirà: «Tesoro, sei bellissima... ti mancano solo le ali per essere un angelo...» e tu penserai: «Ho le scapole alate, andrà bene lo stesso?» E soprattutto: "Quanto ci metterà mai un capello a ricrescere? Un mese? Un anno? Un decennio?".
Meglio così, comunque, che scegliere l'acconciatura sfogliando quei tremendi giornali che trovi solo dai parrucchieri, stampati in una specie di segreta tipografia di categoria, Un misto di teste a pera e tagli da Basil l'investigatopo.
E poi c'è il tocco finale. Una volta bastava la lacca a inchiodarti le chiome come Marion Cunningham di Happy Days. Adesso si va di gel, olio, schiuma, silicone... E così esci dal negozio che ci hai i capelli unti come dopo una settimana di influenza.