20091220

E allora sono pazza: io ti amo! (Santo Natale 2009)




AMAMI COME SEI

(Mons. Lebrun)

"Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze le infermità de tuo corpo; so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: Dammi il tuo cuore, amami come sei...

Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica del dovere e della virtù, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più, non ti permetto di non amarmi.
Amami come sei.

In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nell'infedeltà, amami... come sei... voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto non mi amerai mai.

Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore? Non sono io l'Onnipotente? E se mi piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore?

Figlio mio, lascia che ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti, ma per ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore dei poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: Gesù ti amo.

Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Una cosa sola m'importa, di vederti lavorare con amore.

Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo.
Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai... perché ti ho creato soltanto per l'amore.

Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allargare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, moriresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia.

Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l'azione più insignificante solo per amore. Conto su di te per darmi gioia...

Non ti preoccupare di possedere virtù; ti darò le mie. Quando dovrai soffrire, ti darò la forza. Mi hai dato l'amore, ti darò di saper amare al di là di quanto puoi sognare...

Ma ricordati... amami come sei...
Ti ho dato mia Madre: fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro.

Qualunque cosa accada, non aspettare di essere santo per abbandonarti all'amore, non mi ameresti mai... Va..."

20091123

Cu nasci tunnu

Il Cinno

Racconto di Stefano Benni


La spalla del barista è il Cinno, ovvero il ragazzo di bar, altrimenti detto fattorino. Il Cinno ha una bella faccia rosea bombardata di brufoli e vive in simbiosi con la sua bicicletta, la bicicletta del Cinno.
Con essa il Cinno piomba come un falco in tutti i punti della città, supera gli autobus in corsa, atterrisce i cani e sgomina i vigili. Il Cinno, nell'andare in bicicletta, ha una serie di regole fisse:

a) è severamente vietato mettere le mani sul manubrio. Questo non solo quando si hanno le mani impegnate con un vassoio di tazze, thermos e maritozzi, ma in ogni altra occasione.

b) l'andatura da Cinno dev'essere altalenante, ovvero la bicicletta deve dondolare da sinistra a destra e viceversa, sfiorando il suolo, di modo che nel raggio di venti metri non si frappongano ostacoli viventi.

c) Si cade sempre e solo sulle ginocchia, qualunque sia la dinamica dell'incidente. Questo crea il famoso ginocchio da Cinno, uno dei problemi della medicina moderna. Esso è costituito da un arcipelago di croste e crostoni, che si rigenera continuamente.

d) Mentre pedala, il Cinno canta.

e) La via normale del Cinno è costituita da: marciapiedi, portoni, androni, giardini, portici. la strada è accuratamente evitata, perché pericolosa e perché le donne sono chiuse dentro le macchine e si vedono peggio. Tutto questo comporta, naturalmente, che il Cinno sia molto odiato da vigili, pedoni e benpensanti.

Come si diventa Cinno? Si diventa Cinno perché non si ha più voglia di studiare. Alcuni lasciano la scuola e fanno i vicedirettori nell'azienda del babbo. Altri si mettono a fare borse e cinture. Altri ancora si fanno passare un piccolo stipendio mensile, si iscrivono ad Architettura e partono per il Gargano. Altri, inspiegabilmente, preferiscono diventare Cinno. Qualcuno parla di vocazione, altri di ragioni sociali.
Come che sia, Cinno non si diventa da un giorno all'altro.


Come si diventa Cinno.

Il piccolo Masotti, il primo giorno di scuola, non piangeva come tutti gli altri bambini. Mangiava un fruttino di cotognata e si guardava intorno. Piangevano, invece, i Masotti genitori, perché era il giorno che sognavano da anni. Il piccolo Masotti fu inquadrato con tanti bambini neri e tante bambine bianche. Il direttore, un uomo dallo sguardo severo e i modi bruschi, li guardò sfilare tutti davanti senza dire una parola. Quando passò Masotti lo fermò, e gli disse: «Tu aggiustati il fiocco» e fece l'atto di toccarlo. Il piccolo Masotti estrasse dal grembiulino nero una gambina secca e piena di bozzi da caduta di bicicletta, e colpì il direttore al cavallo delle braghe.
Ebbe così inizio la carriera scolastica del piccolo Masotti.

Il piccolo Masotti era figlio unico di due Masotti. Masotti padre era camionista e portava pesce refrigerato su e giù per l'autostrada. Triglie giapponesi, merluzzi di Hong Kong e un rombo di Cattolica a far da guardia. Guidava tutta la notte con la sola compagnia di un pacchetto di nazionali e una foto a colori di Ava Gardner, con un autografo falso fatto dalla moglie. Non aveva mai avuto incidenti, tolta la distruzione di un Mottagrill Pavesi nel 1968 e una caduta nel Po per la quale i pescatori della zona continuarono a pescare per molti anni a seguire. Guadagnava quanto bastava per non morire di fame, ma sognava per il figlio un futuro diverso.

Masotti madre faceva le tendine a fiori con una macchina da cucire a pedali, il casco in testa e una maglia della Legnano per non sciupare i vestiti. Le vendeva agli ospizi e ai camionisti amici del marito, per cui faceva anche la decoratrice. Prendeva un vecchio tre assi e in un giorno lo trasformava in un confortevole chalet svizzero, con vasetti di fiori, fodere con i coniglietti, tappetini e, a richiesta, un abat-jour sul retrovisore. Anche lei sognava per il figlio un futuro diverso.

Fu deciso che il piccolo Masotti si sarebbe laureato e avrebbe fatto l'avvocato. Fu allevato con grandi dosi di minestra e, su consiglio degli amici del bar, con giochi che sviluppavano l'intelligenza, come la battaglia navale e il meccano. Ma il piccolo Masotti non si rivelò subito né geniale né più avanti di quelli della sua età. Le sue corazzate affondavano come biscotti e l'unica cosa che riuscì a fare col meccano fu un metro snodabile da sarto.
Non leggeva Kant, non aveva orecchio per la musica, se gli si metteva la matita in mano disegnava sempre la stessa cosa, una patata, e poi si addormentava. è ancora un bimbo, verrà fuori, dicevano i Masotti genitori, ma erano un po' preoccupati. Masotti padre lo rimpinzava di fosforo, e ogni tanto rubava qualche quintale di merluzzo congelato dal carico e obbligava p.M. (piccolo Masotti) a mangiarlo a merenda. P.M. non protestava, si metteva il pesce in bocca e andava a giocare sotto al camion.

La prima pagella del Masotti fu tutta di 1, con un 3 in ginnastica. Il maestro disse che il ragazzo, si vedeva subito, era svogliato, non seguiva, e passava il tempo a intagliare con un temperino. Aveva già distrutto il suo banco ricavandone due zoccoli olandesi e una mazza da baseball, e doveva tenere i gomiti poggiati sulla porzione del compagno.
Le sue scheggie di legno costituivano un pericolo mortale per la classe, perché partivano come proiettili. Era capace di far decollare, in un giorno, fino a duecento aeroplanini di carta, alcuni dei quali restavano in aria anche dieci minuti oscurando la visibilità. I suoi dettati pesavano come crescenti fritte e trasudavano inchiostro e sudore. Faceva delle a larghe un foglio e doveva fermarsi stravolto a metà della curva.
Fu subito bocciato.

Masotti padre, per l'incazzatura, prese su e andò da Bologna a Taranto in tre ore da casello a casello, tanto che il camion si surriscaldò e arrivò a destinazione un gigantesco carico di fritto il cui odore appetitoso fu sentito in tutta la città dei due mari. La Masotti madre non disse niente, continuò a pedalare sulla macchina da cucire, ma con l'aria triste di chi è rimasto staccato dal gruppo in salita.

Il p.M. fu mandato a ripetizione dal professor Manicardi, bella figura di studioso, che lo legò alla sedia e gli lesse per nove ore Leopardi, tutti i giorni, per tre mesi. Il piccolo Masotti imparò a memoria metà dell'Infinito, poi fece la doccia e dimenticò tutto. Fu bocciato anche l'anno seguente, e poi quello seguente.
Allora Masotti padre gli disse che se non si metteva a studiare non gli avrebbe più dato da mangiare. Il p.M. accusò il colpo. Tutte le notti si sentì la sua voce ripetere «Se un contadino ha nove mele e ne vende la metà...». Studiò per un mese, spostando grandi quantità di mele sul tavolo e contattando tutti i contadini della zona. Alla fine propose come soluzione dieci mele e mezzo e una cambiale di meloni in tre rate. Fu ribocciato.

Il Masotti padre si rassegnò. Invecchiato e con le gomme sgonfie, senza neanche più la forza di suonare il clacson, cominciò a girare in tondo sulla tangenziale senza voler vedere più nessuno. Gli amici gli tiravano al volo panini e giornali dal finestrino, e una volta al mese una battona ex trapezista di circo si lanciava da un Leoncino in corsa per tenergli compagnia.
La Masotti madre, invecchiata e incanutita, aveva smesso di pedalare e allenava una squadra di suore che facevano mutande per carcerati. Il piccolo Masotti, che aveva ormai diciannove anni e stazzava sul quintale, andava a scuola col suo grembiulino che gli copriva metà del torace, e la cartella con la solita vecchia matita, un mozzicone invisibile a occhio nudo, che portava a temperare da un orefice.

Andò avanti, finché i soldi finirono. Un giorno il piccolo Masotti aprì la cartella e non trovò la solita merenda, un panino con una cernia.
Quella sera non tornò a casa.
L'indomani, alle prime luci dell'alba, si presentò al bar.

Era nato un Cinno.


20091112

BH




Tratto da:
Jerome diventa un genio - Il segreto dell'intelligenza, Eran Katz

«La cosa migliore da fare è pregare» disse rivolto a Jerome, che era lì in attesa.

Jerome assunse un'espressione cinica. «Josik» disse con tono agitato. «Ancora non ti è chiaro, eh? Io non sono il tipo che si mette pregare! Può darsi che Dio sia d'aiuto a te, ma con me è meglio che non ci si metta. Sono andato in sinagoga una volta sola in tutta la mia vita. Era lo Yom Kippur (Letteralmente "Giorno della conciliazione". È considerato il giorno più sacro dell'anno. Gli ebrei devono digiunare e pregare tutto il giorno chiedendo a Dio di perdonarli per i loro peccati), e non credo di aver fatto una grande impressione su di lui. Migliaia di persone sono andate in sinagoga più di quanto abbia fatto io, quindi sono sicuramente prima di me, nella fila».

«Questo non è vero» rispose Schneiderman. «Non è mai troppo tardi...» Ma il rabbino mise una mano sul braccio di Schneiderman per dirgli di non continuare.

«La preghiera è come un mantra, come abbiamo già detto» esordì a sorpresa. «Se non credi in Dio, avrai fede in qualcos'altro. Sai che non sei solo. Se non hai timore di Dio, la preghiera può comunque aiutarti nella concentrazione. Prega la tua forza interiore, la tua fede in te stesso. La preghiera è una dichiarazione d'intenti. Quando ad esempio dici: "Dio dammi un cuore puro e uno spirito giusto" in verità stai dicendo che, in un certo senso, sei "fresco e pronto per la battaglia", la battaglia dei libri e dello studio. Anche se non sei una persona di fede, sei d'accordo con me che questa frase suscita in te qualcosa di positivo?»

«Be' sì, in termini teorici».

«Nell'ebraismo esiste una preghiera specifica per ogni azione. Prima di mangiare ci si lava le mani e si benedice il pane. Prima di partire per un viaggio recitiamo la "Preghiera del viaggiatore" e prima di andare a dormire diciamo lo Shm'a (Preghiera che gli ebrei recitano tutte le mattina quando si alzano e tutte le sere prima di andare a dormire: "Ecco, Israele: il Signore è il nostro solo e unico Dio"). L'obiettivo di queste preghiere è quello di aiutarci a concentrarci sul compito che ci aspetta, di allontanare l'attenzione delle altre cose in modo da riuscire a concentrarci su quello che stiamo per fare.
Le preghiere dicono: non ti distrarre! Dedica tutto te stesso e concentrati sul percorso che dovrai compiere, sul cibo che avrai di fronte. È inutile dire che questa concentrazione aiuta la digestione, migliora l'attenzione di chi deve guidare e, cosa che ha maggiore attinenza con la nostra conversazione, innalza il livello di efficacia dello studio».

«E che preghiera dici tu?» chiese Jerome al giovane studioso.

Schneiderman sorrise.

«Tante. "Eterno amore" o "Dai ai nostri cuori la sapienza" per esempio. Vengono dalla preghiera della Shemonè Esrè (Letteralmente "18". Chiamata anche Amidah, che significa "in piedi". Fa parte delle preghiere quotidiane, che si recitano tre volte al giorno)».

Jerome ci guardò sconsolato.

«Mi sentirei un po' un ipocrita se dovessi mettermi a pregare. Non solo non ho mai rispettato nessuno dei comandamenti, adesso mi metto pure a chiedere a Lui di aiutarmi a studiare? Sarebbe come avere una bella faccia di bronzo, non trovi?»

«Non necessariamente» rispose a sorpresa Itamar. «Credimi, sei certamente una persona che merita l'intervento divino» sorrise.

Jerome gli dette un'occhiata sorpresa.

«Allora, guarda: non hai ucciso nessuno né rubato mai nulla» spiegò Itamar. «Hai onorato tua madre e tuo padre e rispettato molti altri comandamenti, e fatto buone azioni dal profondo del cuore e seguendo la logica che ti guida. Quindi, anche se non sei un timorato di Dio, Dio ti vede e ti ascolta. Almeno, questo penso accada per chiunque rispetti le regole comuni dell'umana decenza».

«Una volta ho rubato dei cioccolatini in un supermercato».

«Niente di che».

«E un'altra volta non ho restituito i soldi quando ho ricevuto troppo resto».

«Ma sì, dai...».

«E una volta ho investito un gatto».

«Sono cose che succedono».

«E anche un cane».

«Anche questo succede».

«E un pinguino».

«Hai investito un pinguino?!»

«O forse era una suora, non mi ricordo». Sorrise. «La sai anche tu questa, vero Josik?»

«E comunque» continuò Itamar, ignorando Jerome «puoi sempre inventarti una preghiera personale, un mantra; una frase importante alla quale credi davvero e che ti infonda una specie di gioia e di motivazione a iniziare qualsiasi cosa tu abbia deciso di fare. Che ti metta dell'umore giusto. Prova».

Jerome sorrise tra sé e sé e rivolse lo sguardo al cielo, come per riflettere su qualcosa. «Interessante» disse. «Ci penserò su».

«E un'altra cosa» aggiunse il rabbino. «Avrai forse notato che gli ebrei molto religiosi spesso scrivono le lettere "BH" in cima alla pagina».

«Beezrat Hashem: significa "con l'aiuto di Dio"». Jerome fece sfoggio di erudizione.

«Ma è anche una dichiarazione d'intenti» aggiunse il rabbino, mostrandoci una delle pagine che aveva con sé.

«Quando hai intenzione di scrivere qualcosa e parti con le lettere "BH", ti prepari a fare qualcosa di importante e sacro a cui devi applicarti pienamente, e chiedendo l'aiuto di Dio è improbabile che tu scriva le cose con trascuratezza, no? Quel "BH" in cima alla pagina ti obbliga a concentrarti e a tirare fuori il meglio di te, perché il Santissimo è stato chiamato in causa. Su una pagina a Lui dedicata non potresti scrivere menzogne, o oscenità, ma solo verità e cose che sono importanti e servono per un obiettivo».

«Affascinante», si entusiasmò Itamar. «Dunque mentre studi e prendi appunti, scrivi "BH" in cima alla pagina, oppure sai che ti dico? Scrivi qualcos'altro che ha per te un peso tale che ti faccia sentire obbligato a lavorare meglio. Così prenderai gli appunti al meglio possibile».

«Anche questa è una buona idea» confermò Jerome.

«Allora andiamo avanti» continuò il rabbino. «Sei seduto comodo, hai pregato e hai scritto "BH" in cima alla pagina. Adesso devi mettere a leggere e a imparare»...

20091024

Il coro "alla Teresina"...




Teresa
Racconto di Italo Calvino tratto da "Prima che tu dica pronto"

Scesi dal marciapiede, feci qualche passo a ritroso guardando in su, e, giunto in mezzo alla via, portai le mani alla bocca, a megafono e gridai verso gli ultimi piani del palazzo: - Teresa!

La mia ombra si spaventò della luna e mi si rannicchiò tra i piedi.

Passò uno. Io chiamai ancora: - Teresa! - Quello s'avvicinò, disse: - Se non chiamate più forte non vi sente. Proviamo in due. Allora: conto fino a tre, al tre attacchiamo insieme -. E disse: - Uno, due, tre -. E insieme gridammo: - Tereeesaaa!

Passò un gruppetto d'amici che tornavano dal teatro o dal caffè e videro noi due che chiamavano. Dissero: - Su, che vi diamo una voce anche noi -. E anche loro vennero in mezzo alla strada e quello di prima diceva uno due e tre e allora tutti in coro si gridava: - Te-reee-saaa!

Passò ancora qualcuno e si unì a noi: dopo un quarto d'ora eravamo radunati in parecchi, una ventina quasi. E ogni tanto arrivava qualcuno nuovo.

Metterci d'accordo per gridare bene, tutti insieme non fu facile. C'era sempre qualcuno che cominciava prima del tre o che tirava troppo in lungo, ma alla fine si riusciva a fare già qualcosa di ben fatto.

Si convenne che - Te - andava detto basso e lungo, - re - acuto e lungo, - sa - basso e breve. Veniva molto bene. Poi ogni tanto qualche litigio per qualcuno che stonava.

Già si cominciava ad essere affiatati, quando uno, che, a giudicare dalla voce, doveva avere la faccia piena di lentiggini, chiese: - Ma siete proprio sicuro che sia in casa?
- Io no - Risposi.
- Brutt'affare - disse un altro. - Dimenticato la chiave, vero?
- Per quello - dissi - io la chiave ce l'ho.
- Allora - mi si chiese - perché non salite?
- Ma io non sto mica qui - risposi - Sto dall'altra parte della città.
- Ma, allora, scusate la curiosità - chiese circospetto quello con la voce piena di lentiggini - qui chi ci sta?
- Non saprei davvero - dissi.

Ci fu un po' di malcontento intorno.

- Ma si può sapere allora - chiese uno con la voce piena di denti - perché chiamate Teresa qua sotto?
- Per me - risposi - possiamo chiamare un altro nome, o in un altro posto. Per quel che costa.

Gli altri ci rimasero un po' male.

- Non avete voluto mica farci uno scherzo? - chiese quello delle lentiggini, sospettoso.
- E che? - dissi, risentito e mi voltai verso gli altri a chieder garanzia delle mie intenzioni.

Gli altri restarono in silenzio, mostrando di non aver raccolto l'insinuazione.
Ci fu un momento di disagio.

- Vediamo - disse uno, bonario. - Possiamo chiamare Teresa ancora una volta, poi ce ne andiamo a casa.

E si fece ancora una volta - uno due tre Teresa! - ma non riuscì tanto bene. Poi, scantonammo, chi da una parte, chi dall'altra.
Ero già svoltato in piazza, quando mi parve di sentire ancora una voce che gridava: Tee-reee-sa!

Qualcuno doveva esser rimasto a chiamare, ostinato.

20091019

Quando si dice "saper fare i Conti"


Pennarello lavabile Carioca su carta Fabriano, cm 14x20

Il bicchiere infrangibile di Achille Campanile

Io e Teresa, voi lo sapete, siamo due tipi economi. Non avari, no, questo no. Ma ci piace non sperperare. Invece Marcello, è tutt'altro tipo e non si direbbe mai nostro figlio, per quel che riguarda i bicchieri. È capace di prendere un bicchiere e lasciarlo cadere tranquillamente a terra. Proprio non fa nessun conto del denaro che costano.  Forse col tempo si correggerà. Ma per ora - ha tre anni - i bicchieri immagina che servano unicamente per essere rotti. Abbiamo provato a dargli un bicchiere d'argento, ma non ha voluto saperne. Non beve se non ha un bicchiere come i nostri. E noi non possiamo bere tutti in bicchieri d'argento. Allora, dopo che egli ebbe rotto un intero servizio e che mia moglie ne ebbe comperato un altro per dodici, io ho avuto un'idea geniale: prendere per Marcello un bicchiere infrangibile. La cosa non è stata facile, perché occorreva un bicchiere come i nostri, altrimenti Marcello non beve. Ma dopo molte ricerche ho potuto trovarlo. L'ho portato a casa e ho fatto riusciti esperimenti davanti a familiari, prima di dir loro che era un bicchiere infrangibile.

Osservo di passaggio che il primo esperimento mi ha valso un litigio con mia moglie, che credeva mi fossi messo a giocare a palla con un comune bicchiere del servizio buono. Invece Marcello s'era divertito un mondo all'esperimento e in giornata, prima che qualcuno potesse impedirglielo, capitatogli a tiro un bicchiere del servizio buono, egli, che ignorava che io avevo operato con un bicchiere speciale, l'ha scaraventato a terra. Ma questo non c'entra sebbene abbia ridotto il numero dei bicchieri da dodici a undici.

Insomma tutto è andato liscio, fino al giorno dopo.
Fino a quando, cioè, la donna di servizio non è venuta a chiamarmi dicendo:

"Debbo apparecchiare la tavola. Per favore, qual è il bicchiere infrangibile?".

Quell'imbecille l'aveva messo nella credenza, assieme con gli altri. E poiché erano tutti uguali, lascio a voi immaginare il suo ed il mio imbarazzo quando s'è trattato di scegliere il bicchiere da mettere davanti a Marcello.

"Razza di cretina", ho gridato "prima lo confondete con gli altri e poi volete sapere da me qual è".

È accorsa mia moglie, che per fortuna non è un tipo nervoso. L'ho scelta apposta così, dopo anni di ricerche.

"Via", ha detto "ora lo troveremo".

Ci siamo messi a esaminare con la più grande attenzione tutti i bicchieri. Ma non c'era nessuna differenza. Ripeto: avevo cercato apposta un bicchiere infrangibile identico ai nostri del servizio. Alla fine mia moglie ha detto:

"Mi pare questo".
"Uhm", ho detto "a me pare piuttosto quest'altro".

È questo è quest'altro, è questo, è quest'altro, è andato a finire che mia moglie, convinta che il suo fosse quello infrangibile, l'ha lasciato cadere per dimostrarmelo. Ed è stata una vera soddisfazione, per me, vedere il bicchiere rompersi e trionfare la mia tesi.

"Ma non è nemmeno il tuo", ha gridato mia moglie, che cominciava a irritarsi.

"Eh, non è questo?" ho gridato.

E giù, il bicchiere per terra. È seguito un grido di trionfo; non mio, ma di mia moglie, raggiante di vedere che il bicchiere era andato in mille pezzi, appena toccato il suolo.

"Oh, questa è bella", ho detto. "Allora non era nessuno dei due".

"Pare di no" ha esclamato mia moglie perplessa.

La presenza d'un misterioso bicchiere infrangibile fra quelli frangibili del nostro servizio ci rendeva inquieti e nervosi. Quale dare a Marcello? Con lo scegliere a caso, c'era probabilità di indovinare quanto di sbagliare. E un errore significava un bicchiere rotto.

Stavamo appunto discutendo sul da farsi, quando un grido ci ha raggiunti dalla vicina stanza: la donna di servizio, provando per conto proprio, aveva rotto un bicchiere. Era il quarto del servizio buono. Benché la cosa fosse tutt'altro che piacevole, pure presentava il vantaggio di restringere notevolmente il campo delle ricerche; ormai il bicchiere infrangibile era uno degli otto rimasti; vale a dire che avevamo soltanto sette probabilità su otto di rompere un bicchiere. Probabilità che scesero a sei tosto che io, incoraggiato da questo calcolo, feci un nuovo esperimento, conclusosi con la quinta rottura. Al quale seguirono un esperimento di mia moglie e uno della domestica, altrettanto disgraziati.

Ormai ci eravamo accaniti nella ricerca. Andavamo afferrando bicchieri a caso e, al grido di: "è questo!", li scaraventavamo con rabbia per terra.

Rimasti due soli bicchieri, m'imposi.

"Ormai", dissi "è inutile continuare stupidamente a provare con tutti. È chiaro che il bicchiere infrangibile è uno di questi due. Proviamo a scaraventarne per terra uno solo: se non si rompe, vuol dire che è quello infrangibile; se si rompe, vuol dire che quello infrangibile è l'altro".

Provammo.

Quello infrangibile era l'altro. Finalmente si sapeva. Proprio l'ultimo, purtroppo, ma ormai s'era assodato.

"Io" dissi, asciugandomi il freddo sudore che m'imperlava la fronte, "non ci credo ancora, che sia questo".

"Proviamo", disse mia moglie.

Alzai il bicchiere per lanciarlo a terra. Ma un presentimento mi trattenne.

"Non si sa mai", dissi se per caso non è nemmeno questo, si rompe".

Con mille precauzioni andammo a mettere il bicchiere infrangibile al sicuro.



20090929

Cercasi Nuovo Titolo

Può essere che sia una mia personale prerogativa di vita ma solo grazie alla casualità mi imbatto in cose che a mio gusto ritengo più interessanti di altre.
In quest'occasione pubblicizzo volentieri una trasmissione radiofonica che ascolto con grande "golosità intellettuale".

Radio Rai 3, Il Terzo Anello - Castelli in Aria, dalle 18.00, Edoardo Lombardi Vallauri:

Sono castelli di cristallo, questi che costruisce nell'etere il linguista fiorentino Edoardo Lombardi Vallauri, semplificazioni, che tracciano la vita quale figura geometrica, dove le cose vaganti trovano un posto, e quelle dai contorni indefiniti si precisano, come parti di un cristallo o di un progetto architettonico. Semplificazioni che non esauriscono la varietà delle cose reali, e forse perfino la tradiscono; ma al tempo stesso permettono di comprenderla e dominarla in maniera quanto mai efficiente, e inducono a riflettere su molte cose in un modo nuovo.
(da http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/castelliinaria/index.cfm)

Gli argomenti, intervellati da una seducente "musica colta", mi attraggono proprio perché affrontati a trecentosessanta gradi e spingono necessariamente ad un tipo di riflessione sensata e analitica.

Per chi, come me, ha una curiosità di comprensione che raramente viene soddisfatta, forse perché troppo cavillosa e pignola, ma ha la pazienza (e mi auguro il piacere) di ascoltare, consiglio la puntata di ieri in cui si parlava di "Superpoteri, Pro e Contro".

Ne riporto il link diretto:

http://www.radio.rai.it/podcast/A0048012.mp3

oppure

http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=297952#

20090913

Norimberga

Questo è un libro che credevo di aver perso, o peggio, che qualche amica non me l'avesse restituito visto il successo riscosso.

Totalmente femminista in cui ogni uomo è un bastardo e ogni donna è una dea, è scritto a due mani da Adele Lang e Susi Rajah e si chiama: Come beccare un bastardo dal suo segno zodiacale.

Preferisco non riportare nessuno dei profili maschili descritti in cui vengono ampiamente riportati difetti, ossessioni, manie, piccoli accorgimenti per il riconoscimento, tipologie di seduzione, abbordaggio, "carico e scarico" del soggetto analizzato, perché non lo trovo equo e non potrei certo trascriverli tutti.

Posso però riportare (tanto per dare un'idea) le caratteristiche zodiacali generiche dei 4 elementi attribuite dalle autrici ai "bastardi".

Segni di fuoco (Ariete, Leone, Sagittario):
Siamo-Bollenti-Quindi-Zitta-E-Adoraci

Segni di Terra (Toro, Vergine, Capricorno):
Ciao-Siamo-Gli-Uomini-Più-Noiosi-In-Circolazione

Segni d'aria (Gemelli, Bilancia, Acquario):
Vi-Amiamo-Non-Vi-Amiamo

Segni d'Acqua (Cancro, Scorpione, Pesci):
Non-Odiateci-Siamo-Solo-Sciacquette

Pochi giorni fa è stato il mio compleanno e questo è il ritratto del mio segno. Se mi rispecchia? In effetti...


La Dea della Vergine

Dite un po': è vero, le storie d'amore sono difficili da tenere in ordine e gli uomini hanno sempre un mucchio di noiosissimi difetti. Ma in fondo pensate sia un vostro preciso dovere (e voi non siete di quelle che si sottraggono al dovere).

Cercheremo quindi di presentarvi le cose col massimo della chiarezza e dell'efficienza.

Non dovete far altro che accomodarvi sulle vostre lenzuola fresche di bucato e aspettare che l'amore arrivi.

Vi abbiamo organizzato un appuntamento con ognuno dei dodici bastardi, che verranno a voi in rigoroso ordine astrologico.

Ore 8,00. Forse non è proprio il soggetto migliore con cui cominciare. Un tantino opprimente, non è vero? È l'Ariete. Un barbaro, in effetti. Certo, capiamo benissimo che la prospettiva di tutti quei peli sparsi dentro al letto... Ma indubbiamente voi gli piacete... No, non crediamo sia disposto a tagliarsi almeno i peli del naso... Va bene: avanti il prossimo...

Ore 9,00. Sì, il Toro. Un ragazzo solido... No, ha chiesto solo se durante l'appuntamento si poteva avere la colazione... Il prossimo...

Ore 10,25. Questo è il Gemelli. Sì, è vero, è in ritardo di 25 minuti. No, non ci pare abbia una scusa valida. Sì, certo, pensiamo che sia anche capace di stare fermo e zitto, qualche volta. E no, non crediamo possa fare a meno di flirtare contemporaneamente con tutte noi, è nella sua natura. Avanti il prossimo...

Ore 11,00. Cancro. Un'animuccia vuInerabile. Due occhietti così tristi. No, in genere non esce molto... Dice che gli piace quando lo criticate perché gli ricordate tanto la mamma. Sì effettivamente è un po' pervertito... Avanti il prossimo...

Mezzogiorno in punto. Questo è il Leone. Dice che dovreste aver sentito parlare di lui, a quanto pare è famoso. Come dite? Non l'avete mai sentito nominare? No, non avete detto niente di sbagliato solo che lui è suscettibile su certe cose. Il prossimo...

Ore 12,55. Eccovi un Vergine. Sì, in effetti è molto puntuale - addirittura in anticipo. Niente male, no? Vi capiamo, dopo un po' darebbe sui nervi a chiunque. No, voi non siete affatto così. Il prossimo.

Ore 14,10. Bilancia. Simpatico e giovanile. Perché rimane lì sulla soglia? Ecco, a quanto pare non riesce a decidere se entrare o no. Il vostro aspetto gli piace, ma è terrorizzato all'idea che ci sia un'altra ragazza più attraente che riceve i pretendenti oggi da qualche altra parte... Sì, d'accordo con voi. Il prossimo…

Ore 15,15. Uno Scorpione. No, dice di essere venuto in ritardo apposta. No, per quanto ne sappiamo non è dotato di visione ai raggi x, e quindi non dovrebbe essere in grado di vedere attraverso la vostra camicia da notte. Lui le donne le guarda sempre così. Dice di essere venuto perché ha sentito che siete vergine... Certo, non poteva sapere che... il prossimo...

Ore 16,05. Sì, il Sagittario. Ecco, dovete perdonarlo, non l'ha rotto apposta quel vaso... e nemmeno quest'altro. No, non è pericoloso, è solo goffo. Pensiamo che potrebbe piacervi moltissimo se solo... Oh no, un altro vaso? Il prossimo...

Ore 17,00. Capricorno, in perfetto orario. Finalmente una persona affidabile - un uomo pratico, abituato a maneggiare i soldi. E anche lui vi trova perfetta. Se è romantico? Be', ecco... Il prossimo.

Ore 18-19. Ecco, a quest'ora avrebbe dovuto presentarsi l'Acquario. No, non sappiamo perché non si è nemmeno fatto vedere. Sì, probabilmente è meglio così. Il prossimo...

Ore 20,00. Pesci. Sì, è terribilmente dolce... e gentile... e romantico... Dice che siete la cosa più bella, più pura su cui abbia mai posato gli occhi. Sì, è davvero molto carino... Certo. Lui dice sempre cose del genere, ma non le pensa nemmeno per un secondo... tranne che in questo caso, ovviamente... No, non lo sappiamo dove sia andato adesso... e nemmeno se ritornerà.

Ecco, questo è tutto. Ancora una volta avevate ragione voi (come sempre, del resto): non sono degni di sporcarvi le mutandine. Meglio mantenervi come siete, un modello di virtù. No, non siete state assolutamente troppo selettive. Forse è meglio lasciar perdere.

E poi, per voi è già ora di rientrare in convento.


Fonte dell'immagine: http://www.dariamueller.com/articoli/mitoGreco_terra.html

20090726

Nature vive (e un intruso)


Gli zucchini gialli di PierLuigi (Cutigliano - PT)
Non ne avevo mai visti di questo genere, hanno un sapore più dolciastro rispetto agli zucchini tradizionali. Cucinarli trifolati è sempre una garanzia ma, assolutamente da provare, tuffati in una pastella a base di latte e farina e fritti.


La rosa di Rosalba (Migliorini - PT)



L'orto di Oriano e Anna (Campo Tizzoro - PT)
Da sinistra, in senso orario: pomodori ciliegini, cipolle, porri, fagiolini, zucche.


Pianta di zucca dell'orto di Oriano e Anna (particolare)


Si svolge a Le Piastre (PT) e le iscrizioni sono ancora aperte...

:)

20090702

Un giorno speciale

Ne avevo in mente un paio bellissime ma troppo "classiche" per il mio stile.

Questa mi è sembrata la più adatta, vuoi per il film che tanto mi è piaciuto, vuoi per il mio amore sconfinato per il pianoforte.

E anche se i suoi gusti al momento sono ancora incerti, spero che apprezzerà.

Se non amassi sarebbe tutto più semplice.

Ma se non amassi sarei un essere inutile e dannoso.

In un certo senso è un'arma a doppio taglio...

Il prezzo da pagare è altissimo ma (e qui nasce l'imbroglio), nel momento in cui conosci per la prima volta questo tipo di amore, non potrai più farne a meno, una catena di sofferenza, qualche rimorso e gioia smisurata.

Grande consolazione: una cosa buona nella mia vita sono riuscita a farla, per sempre e comunque vada.

Il regalo più grande che posso fare alla persona più rompicoglioni ed importante della mia vita?

La libertà, naturalmente.

Dio voglia che non mi lasci mai.

20090618

20090524

Final destination... mi sono riposata abbastanza?

Nel 1996 ho cominciato a dilettarmi con Tomb Raider e, ad ogni edizione del gioco, riuscire ad arrivare al fatidico "mostro finale" è diventata quasi una mania.

Da allora non ho ancora smesso di giocare...

E continuo a perdere.

O no?

:)

Big in Japan



La Falce e la Spiga vorrebbero rappresentare un superamento dialettico umile e discreto del simbolo della rivoluzione marxista, in cui tanta gente fino a tutto il 68 si è identificata nel nostro paese. Dal 77 in poi, invece, in settori qualificati del «movimento» l'ipotesi rivoluzionaria come presa del potere è cominciata a tramontare nel limbo delle utopie ottocentesche produttrice di mostri.

Tra la falce e la spiga c'è un rapporto più organico e concreto, meno teorico e astratto che tra la falce e il martello. E infatti invariabilmente, alla fine, in ogni rivoluzione tradizionale i contadini sono sempre finiti sacrificati agli interessi dell'industria.

Inoltre la falce e la spiga richiamano più immediatamente la profezia biblica sull'ultima ora della storia: in cui si trasformeranno le lance in falcetti.

E la paglia sola sta a rappresentare il contenuto e l'alternativa rivoluzionaria di questo libro.


Un regalo molto gradito è stato questo libro che mi ha incuriosito fin dal titolo.


L'invenzione di Masanobu Fukuoka, scienziato ma anche contadino, morto a 95 anni proprio l'anno scorso, è di una semplicità straordinaria perché si basa sul principio del "lasciar fare".

Ha dedicato la sua vita a sperimentare tecniche per provare che non solo è possibile, ma addirittura più redditizio, coltivare la terra senza diserbanti, fertilizzanti chimici, e nemmeno composti organici.

Una lettura scorrevole e facile, un libro "contemporaneamente pratico e filosofico" scritto non solo per gli amanti della natura (visto che torneremo tutti a "zappare"...).


Tratto da:


La rivoluzione del Filo di Paglia - Masanabu Fukuoka (Ed. LEF)





PRESENTAZIONE
Come può essere politico un filo di paglia? è una domanda che sembrerà ridicola a un sacco di gente. Uomini, donne, vecchi, milioni di individui avidi o disgustati, eccitati o arrabbiati, ma tutti colpiti e legati al carro della storia, del capitale, delle grandi masse, dell'oppressione...
Borghesi, proletari, maschilisti, femministi, liberisti, socialisti, tutti in lotta per il potere. Il potere di un filo di paglia? no! e chi lo conosce? chi lo vede nemmeno un filo di paglia? Il potere è dei giornali, dei tribunali, dei laboratori scientifici, delle fabbriche, dei palazzi presidenziali e della tecnologia intellettuale, delle piazze ... delle maggioranze!


Ma la libertà non abita questi luoghi, cresce e cammina sulle ali delle rondini che godono di volare, nel respiro di un ciuffo d'erba che comunica al mondo la sua pace, la sua trasparente umiltà. La libertà si nasconde dentro le correnti delle leggi di natura, i comandi che il Creatore ha scritto nelle cose, quando ci ha fatti liberi persino di sfruttarle. Ecco perché sono leggi discrete e per sentirle bisogna fare silenzio e mettere l'orecchio vicino, vicino: parlano con un lieve mormorio. Un mormorio che diventa rombo o boato in poche occasioni, ma per un diluvio universale quanti secoli di date di battaglie?


La politica del filo di paglia è fuori della storia, è contro la storia, è prima e dopo la storia. La rivoluzione del filo di paglia è possibile a ciascuno di noi, per scelta.
Per Fukuoka bastano 1000 mq a persona per arrivare all'autosufficienza alimentare e se anche si dovessero ritoccare le cifre, il potere di questo pensare e lavorare «in piccolo» sarebbe più forte sia ideologicamente che operativamente di qualsiasi partito ad organizzazione eversiva e per di più gestibile solamente «dal basso» senza lauree, né diplomi.
Perciò quella del filo di paglia è una via per abolire il capitalismo e appropriarsi dei mezzi di produzione senza passare per la stanza dei bottoni e in questo è veramente rivoluzionaria.
Qualcuno potrà avanzare la facile obiezione che qui da noi il clima e la terra sono diversi dal Giappone. Ma l'ipotesi di Fukuoka non dà delle ricette assolute, indica una strada da battere per scoprire da noi nel nostro ambiente specifico lo stesso rapporto con la natura che lui ha trovato nella sua terra.


Questa seconda edizione vede la luce due anni dopo la prima e dopo il passaggio in Italia di Fukuoka stesso nel luglio del 1981.
L'interesse per l'agricoltura naturale è andato crescendo in questo periodo e i seminari, oramai leggendari, che Fukuoka ha tenuto a Ontignano, Milano, Montalto (RE) e Preganziol (TV), hanno portato nuova luce sia sul suo pensiero che sulla agricoltura che propone. Questa «Rivoluzione del filo di paglia» è apparso come un riassunto introduttivo di un discorso e di una pratica molto più ricca.
Fukuoka ha ormai completato il suo lavoro generale in tre volumi che porta il nome «MU», cioé «nulla». Il seminario di Ontignano iniziò con le presentazioni dei partecipanti. Quando venne il suo turno, Fukuoka disse:



«Mi chiamo Masanobu Fukuoka. Il senso del mio nome è: Masa=diritto; Nobu=fede; Fuku =felice; Oka=montagna.
Penso di non essere diverso da voi, ma ho trovato una piccola differenza fra voi e me. La piccola differenza è che voi volete imparare, io sono venuto per vuotarmi la testa da quello che ho imparato in Giappone, cioè nessuna preoccupazione mi segue.
Siccome voi non capite il giapponese e io non capisco l'italiano è come se parlassimo nel vuoto. é ottimo, perché tutto ciò che sta nel vuoto non pesa su di noi.
Sono felice di sentire la gentilezza che si respira qui fra di voi. C'è un'antica canzone. giapponese che dice '"Stiamo bene perché la luna è tonda" così è per noi.»


E questo è il senso più importante: lo spirito di vita, l'essere come fanciulli, l'agricoltura allora viene da sé.


Giannozzo Pucci, Ontignano, febbraio '83




LA RIVOLUZIONE DEL FILO DI PAGLIA


Fra i giovani che vengono a queste casette sul monte, ci sono quelli, poveri nel corpo e nello spirito, che hanno abbandonato ogni speranza. Io sono solo un vecchio contadino che si lamenta di non poter dar loro nemmeno un paio di sandali: ma c'è ancora una cosa che posso dare loro.
Un filo di paglia.
Raccattai un po' di paglia davanti alla baracca e dissi: «Da questo solo filo di paglia può cominciare una rivoluzione».
«Con la distruzione dell'umanità a portata di mano, speri ancora di poterti aggrappare a una pagliuzza?» domandò un giovane con una punta di amarezza nella voce.


Questa paglia sembra piccola e leggera, la maggior parte della gente non sa quanto sia pesante in realtà. Se sapessero il vero valore di questa paglia, questo filo potrebbe diventare abbastanza potente da muovere il paese e il mondo.
Quand'ero bambino c'era un uomo che viveva vicino al passo Inuyose. Sembrava che non facesse altro che caricare carbonella sul cavallo e portarla per due miglia circa di strada dalla cima della montagna al porto di Gunchu. Eppure diventò ricco. Se domandate come, la gente vi dirà che nel suo viaggio dal porto verso casa raccoglieva la paglia abbandonata, ferri di cavallo e il letame ai lati della strada e li buttava sul suo campo. Il suo motto era: «Tratta un filo di paglia come se fosse importante e non fare mai un passo inutile.» Lo rese un uomo ricco.
«Anche se bruciasse, non credo che questa paglia sarebbe capace di fare nemmeno una scintilla per cominciare una rivoluzione.»


Una brezza leggera mormorava attraverso gli alberi del frutteto, la luce del sole tremolava fra le foglie verdi. Cominciai a parlare dell'uso della paglia nella coltivazione del riso.
Sono passati quasi quarant'anni da quando ho capito quanto poteva essere importante la paglia nel coltivare il riso e l'orzo. A quell'epoca, passando nella provincia di Kochi per un vecchio campo di riso che era stato lasciato abbandonato e incolto per molti anni, vidi del giovane riso sano che vegetava su attraverso un groviglio di erbacce e paglia che si erano accumulate sulla superficie del campo. Dopo aver lavorato per molti anni sulle implicazioni di questo fatto saltai fuori a sostenere un modo completamente nuovo di coltivare il riso e l'orzo.
Credendo che questa fosse una maniera rivoluzionaria e naturale di coltivare, ne scrissi in libri e giornali e ne parlai alla televisione e alla radio dozzine di volte.


Sembra una cosa molto semplice, ma i contadini sono cosi fissati nel loro modo di pensare su come la paglia vada usata, che è poco probabile che accettino di cambiare. Spargere paglia fresca su un campo può essere rischioso perché il brusone del riso e lo sclerozio sono malattie sempre presenti nella paglia di riso. In passato queste malattie hanno provocato gravi danni, e questa è una delle ragioni principali per cui i contadini hanno sempre trasformato la paglia in composto prima di restituirla al campo. Anticamente una sistematica trasformazione della paglia di riso era praticata comunemente come misura preventiva contro la malattia del brusone, e vi furono tempi a Hokkaido in cui la completa bruciatura della paglia era richiesta per legge.
 
I minatori del gambo si annidano anche loro nella paglia per passarci l' inverno. Per prevenire un' infestazione da parte di questi insetti i contadini erano soliti compostare la paglia accuratamente tutto l'inverno per essere sicuri che sarebbe stata completamente decomposta per la primavera successiva. è per questo che i contadini giapponesi hanno sempre tenuto i loro campi così puliti e in ordine. La conoscenza pratica della vita quotidiana diceva che se i contadini lasciavano la paglia in giro, sarebbero stati puniti dal cielo per questa trascuratezza.
Dopo anni di sperimentazione, anche dei tecnici esperti hanno adesso confermato la mia teoria che spargere paglia fresca sul campo sei mesi prima di seminare è una cosa completamente sicura. Questo capovolge tutte le idee precedenti sull'argomento. Ma passerà molto tempo prima che i contadini diventino disponibili ad usare la paglia in questa maniera.


I contadini hanno lavorato secoli a cercare di aumentare la produzione di letame decomposto. Il Ministero dell Agricoltura dava una volta un premio come incentivo per incoraggiare la produzione di composto, e varie mostre con con corsi di produzione di composti organici erano tenute ogni anno. I contadini arrivarono a credere nel letame come se fosse la dea protettrice del suolo. Adesso c'è di nuovo un movimento per aumentare le concimazioni organiche, un composto «migliore», con lombrichi e starters per affrettare la fermentazione. Non c'è nessuna ragione per aspettarsi una facile accettazione della mia proposta che non è necessario preparare cumuli né composti, che tutto quello che è necessario è spargere per i campi paglia fresca non trinciata.


Viaggiavo verso Tokio, e guardando, dal finestrino del treno di Tokaido, ho visto come si è trasformata la campagna giapponese. Osservando i campi invernali, l'aspetto dei quali è completamente cambiato in dieci anni, sento una rabbia che non riesco ad esprimere. Il paesaggio precedente di campi puliti di orzo verde, astragalo cinese, e piante di rape in fiore (brassica campestris) non si vede più da nessuna parte. Invece, paglia mezza bruciata è ammonticchiata alla pioggia. Il fatto che questa paglia venga trascurata è una prova del disordine della moderna agricoltura. La nudità di questi campi rivela la sterilità dell'anima dell'agricoltore. Mette in dubbio la responsabilità dei dirigenti governativi, e chiaramente indica l'assenza di una saggia politica agraria.


L'uomo che diversi anni fa' parlò di una «pietosa fine» per la coltura dei cereali invernali, della loro «morte lungo la strada»: che cosa pensa adesso quando vede questi campi vuoti? A vedere d'inverno i campi sterili del Giappone non posso più continuare ad essere paziente. Con questa paglia io, da solo, comincerò una rivoluzione!
I giovani che erano stati a sentire in silenzio stavano adesso ridendo fino alle lacrime.
«Una rivoluzione di un uomo solo! Domani prendiamo un grande sacco di seme di orzo, riso e trifoglio e andiamo portandocelo sulle spalle, come Okuninushi-no-mikoto*, a spargere semi su tutti i campi di Tokaido
«Non è una rivoluzione di un uomo solo» risi, «è la rivoluzione di un solo filo di paglia!.»
Uscendo dalla casetta nella luce del sole pomeridiano, mi fermai un momento a guardare gli alberi del frutteto circostante carichi di frutta che stava maturando, e le galline che razzolavano fra le erbacce e il trifoglio. Allora iniziai la mia discesa verso i campi.



* Il leggendario dio giapponese della salute che va in giro spargendo buona fortuna da un grande sacco che si porta sulle spalle.

20090512

20090507

Festa della mamma 2009

Alla mia mamma che adora Zucchero.

E conoscendomi non si stupirà se Le dedico proprio questa...

:)

20090430

Un altro Centro.

Piazza dell'Unità - via Panzani - brusio nelle orecchie - la tua vita è disorganizzata - qualche vetrina - dovresti preparare tutto prima di andare a dormire - scarpe - così la mattina potresti dedicarti ad altro con più calma - Feltrinelli - Feltrinelli... mi ci fionderei se avessi tempo - che poi chi te lo fa fare? - pizza e gelato per turisti, attraverso la strada - troppa gente, non sono più abituata - Scudieri, frutta di marzapane in vetrina - Piazza Santa Maria del Fiore.

Una vita che non entro in Duomo.

Osservo persone di fronte alle due entrate principali - cartello - non entra nessuno - affretto il passo - mi segue - quasi di fronte a via calzaiuoli svolto a sinistra - affretto ancora il passo - mi segue a fatica, la sento sempre più distante - rallento di fronte all'entrata laterale - un corpulento vigile a guardia - persone entrano - nessuno esce.

Io e il vigile.

Come si fa ad entrare? - fanculo alla dizione cittadina di nascita voglio che lo capisca al volo - non si può entrare - sguardo fortemente interrogativo ferma resto in posizione silenzio - a meno che non voglia partecipare alla Messa - si può entrare solo per la Messa? - esatto, e si esce quando è finita la Messa - Lei mi ha raggiunto - Quanto dura ancora? - 10 minuti - orologio ho poco tempo mi aspettano tra un quarto d'ora da un'altra parte - mi volto.

Mamma ce li facciamo 10 minuti di Messa?

Sorriso - mi volto nuovamente - vogliamo andare alla Messa - prego...

E ci fa passare.

Navata sinistra - una ventina di persone appena disperse tra le panche - molti giovani - occhi all'insù - la cupola affrescata - l'emozione forte del Duomo deserto - concentrazione e preghiera - scambiatevi un segno di pace - ci stringiamo forte la mano sorridendo - ascolto - l'emozione forte dei rintocchi del Campanile di Giotto.

Andate in Pace.

20090412

L'attimo infinito della Resurrezione


Tratto da: La morte di Ivàn Il'ìč - Lev Tolstòj


«E la morte dov'è?»

Cercò la sua solita paura della morte, la paura d'un tempo, e non la trovò. Dov'era? Quale morte? Non c'era nessuna paura perché non c'era nemmeno la morte.

Al posto della morte c'era la luce.

«Allora è così!» disse improvvisamente ad alta voce. «Che gioia!»

Per lui tutto avvenne in un attimo, e il significato di quest'attimo ormai non poteva più mutare. Per i presenti la sua agonia si protrasse ancora per due ore. Nel suo petto gorgogliava qualcosa: il suo corpo emaciato sussultava . Poi il gorgoglio e il rantolo si fecero sempre più rari.

«È finita!» disse qualcuno sopra di lui.

Egli udì queste parole e le ripeté nella sua anima. "È finita la morte" si disse "Non esiste più".

Inspirò l'aria dentro di sé, si fermò a metà del respiro, si allungò e morì.

20090410

Eloi, Eloi, lamma sabactami?


Tratto da: Der Gott und der Götzen

È il tempo dell'eclissi del Sole che precede il terremoto. Attraverso la notte il corpo pallido del Dio morente luccica come fosforo, luccica ma senza illuminare. Anche le stelle hanno perso la loro luce, poiché LUI ha preso tutta la luce.

La croce è circondata da solitudine e la Terra è come disabitata. Allora, tra i rantoli dell'agonia, il Salvatore chiama attraverso il deserto: “Dio, mio Dio! Perché mi hai abbandonato?”.

La sua voce non trova eco. La natura non riconosce più la voce come non conosce più la luce.


Ma dall'oscurità si addensa il contro-dio. Sospeso su nuvole nere arriva davanti alla croce.

Lui è Shiva, il distruttore, lui è Priapo con il simbolo osceno, con la maschera schernitrice di ciò che si chiama AMORE. E l'idolo parla:


“Chi chiami? Siamo rimasti solo noi, ci sei soltanto tu e io, il tuo eterno contrasto, nient'altro. Tu chiami il dio che hai attirato verso di te. Nella ricerca della tua divinità hai tolto dio dal mondo; dov'è un altro dio oltre a te?

Hai voluto eliminare il tuo odio ma alzando la spada contro di lui sei diventato il suo schiavo. Ora la tua creatura si è rivolta contro te e ti ha inchiodato alla croce. Guarda, io sono la tua creatura, il frutto del tuo odio. Mi volevi annientare e invece mi hai fatto ingrassare.

Quando allora ti promisi i tesori del mondo, ah, se fossi caduto in ginocchio davanti a me; li rifiutasti, tu odiavi già le opere di colui che ora chiami perché gli volevi somigliare; allora ti risposi con disprezzo. C'è scritto: Devi adorare il Signore, tuo Dio, ed essere solo suo servitore. Chi è ora il tuo signore se non io? Oltre a noi due non c'è più nulla.

Anch'io devo sparire nel momento in cui tu muori. Ma questa è stata forse l'opera della tua vita?

Non insegnavi forse: Amate i vostri nemici!

Ora amami, ama il tuo ultimo e peggiore nemico.

Soltanto perché il tuo amore non era perfetto mi ha creato con quella terribile maschera che ora vedi davanti a te. Quella volta, nel deserto, ero bello. Ti ordino ancora una volta di adorarmi. Amami! Riconosci che io sono il tuo dio, tuo padre!”


Allora Gesù alza lentamente la testa e i suoi occhi si fissano sul terribile viso del nemico. Poi trasfigurato da un amore senza limiti dice:

“Padre, nelle tue mani metto il mio spirito!”

E la luce che emana dal corpo sacro comincia a rilluminare la Terra. Il Sole esce e le nubi nere, il trono del contro-dio, spariscono nel nulla. Un profondo tuono fa scuotere l'aria, la Terra trema, il velo nel Tempio si strappa e davanti ai fedeli si apre il Sacrissimo.

Il morente sguardo del Salvatore include la natura liberata.
E si sente forte la sua voce che dice:

“È fatta!”

20090326

Sarà per te

Fin da bambina, abitando a Firenze, ho sempre sentito parlare dei pratesi in maniera poco lusinghiera per una questione di campanilismo e "spocchia" che caratterizza il fiorentino DOC.

Frequentando Prato ho avuto modo di apprezzare sia l'efficienza, sia l'ottima organizzazione cittadina.

I pratesi sono dei grandi lavoratori.

Questo basta perché abbiano la mia totale stima.

Il mio vuol essere un augurio perché la loro principale attività sia salvata e anche un bentornato ad un importante artista del cinema italiano.


Madonna che silenzio c'è stasera (1982)





20090317

... poche parole




L'aquila e la Luna - Nicola Lisi

L'aquila emigrata da altre terre, dopo aver scorrazzato a lungo su una catena di montagne, trovò in una fenditura coperta, sulla più alta cima, la tana bramata. Aguzzando gli occhi nel vuoto si disse: - Ecco che veramente sono diventata regina: il mio dominio è su tutto e tutti. In quel mentre da un'altura di faccia si svincolò la Luna piena, per trionfare dopo alcuni istanti in cielo e sulla terra. Allora l'esaltazione orgogliosa dell'aquila si cangiò in una umiliazione insopportabile. Come ora le sembrava di trovarsi in un luogo basso e oscuro! Volle innalzarsi fin sopra a lei. Si librò in aria proseguendo maestosa, ma nonostante il perfetto accordo dell'orgoglio con la volontà, giunse tempo in cui, prostrata dalla stanchezza, non poté continuare nel volo.
Senza più alcuna speranza si abbandonò al cedimento dell'aria riequilibrandosi soltanto allorché vide tremolare sotto di sé, nello sconosciuto mare, quella che credette un'altra Luna. - Su di te almeno mi poserò, - gridò l'aquila ributtandosi in basso a capofitto e aggiustando i rostri per agguantarla. Fu presa invece dai flutti e subito divorata dai cupidi pesci.

L'alto annichilisce il superbo, e la sua potenza, riflessa in basso, lo attira e lo punisce.

20090311

Cultura "retrò"



Il mio primo libro erotico l'ho letto per puro caso all'età di 13 anni. Il motivo principale era la curiosità per qualcosa che ancora non conoscevo ma per cui, indubbiamente, provavo un certo interesse. Col passare degli anni ho continuato ad appassionarmi a questo genere di letture e ancora, con il mio avvio "all'atto pratico" (che in questo caso però non mi riguarda) ho riservato il mio interesse a cercarne una sorta di "origine storica".

Nella letteratura erotica si ritengono i Sonetti Lussuriosi di Pietro Aretino come l'avvio alla pornografia e credo che questa definizione nasca soprattutto dal tipo di linguaggio che l'Aretino usa (esplicito).
Un secolo prima di lui però vi erano altrettanti scritti proibiti che usavano molto spesso prendere di mira il clero con l'immaginabile conseguenza di scomunica e accuse di blasfemia.
Erano scritti prevalentemente in latino per una sorta di prudenza essendo una lingua dotta che non tutti potevano comprendere.
Quello che riporto a titolo esclusivamente culturale è un brano tratto da Liber Facetiarum, scritto tra il 1438 e il 1452 da Poggio Bracciolini.
Più che l'aspetto "pruriginoso" del breve racconto mi piace sottolineare l'ironia e lo scherno ai danni dell'ignoranza.

Una brevissima premessa ai fini della più completa comprensione del profilo letterario: in vari sonetti del tempo la sodomia è "riservata". Ad esempio in uno di quelli scritti da Aretino si legge che alla donna decisa ad averlo «in cul» l'amante risponde che non vuole macchiarsi di questo peccato «perché questo è un cibo da prelato».


Uno dei nostri villici, un tipo non troppo sveglio, prese moglie senza avere neppure un po’ di esperienza in pratiche d’amore. Il caso volle che una notte, a letto, quella volgesse schiena e natiche al marito, premendoglisi contro, al punto che con il membro costui giostrò l’occasione senza pensarci su molto. Felicissimo del risultato, domandò alla donna se davvero avesse due fiche, e alla sua risposta affermativa «benissimo», disse, «una mi basta, l’altra è d’avanzo». La furbacchiona, che se la faceva col piovano del quartiere, ribatté: «Perché non ne facciamo elemosina? Dammi retta, doniamola alla Chiesa e al nostro caro piovano, che ne sarà contentissimo; e a te non verrà nessun danno, visto che una sola ti è bastante». L’uomo si mostrò d’accordo […] così, dopo un invito a cena e il resoconto del caso, se ne andarono a letto in tre, con la donna nel mezzo, il marito davanti e il piovano dietro, perché si potesse godere il regalo. Il prete, affannato e voglioso della pietanza tanto ambita, attaccò battaglia per primo sul fronte riservatogli, il che mandava in sollucchero la donna, facendole lanciare qualche gridolino. Temendo allora un’invasione di campo, il marito avvertì: «Rispetta i patti, amico, e serviti della tua parte senza toccar la mia!» e il prete: «Che Dio mi riguardi! Perché dovrei occupare i tuoi possedimenti quando posso sfruttare i beni della Chiesa?».

20090308

Festa della Donna


Tratto da:

Sola come un gambo di sedano - Luciana Littizzetto

Questioni di cesso

Basta con sta festa della donna. Ammucchiamo queste maledette mimose e facciamo un falò. Ormai ci siamo emancipate. Siamo uguali agli uomini. Ci viene l'infarto anche a noi. Cosa vogliamo di più? La prostata, forse? O la barba... visto che i baffi già ce li abbiamo... Un esempio per tutti. La questione bagno. Sulla gestione quotidiana del cesso si scatenano delle vere guerre sociali. Sono anni ormai che lui e lei lottano per avere gli stessi diritti. Risultato? Parità assoluta. Uno a uno. Come mai proprio sulla toilette si scatenano le bufere? Non è difficile. Perché il bagno è un tempio. Un luogo sacro dove si celebrano i riti personali più svariati. Eh sì, perché nel bagno non si va mica solo a fare. Nel bagno si sta. Il bagno è un pensatoio. Io sono convinta che le sue strategie militari Napoleone le escogitasse proprio qui. Il problema sta nella permanenza. Una volta entrati non si esce più. Hai voglia a bussare. Altro che Grande Fratello. Manca solo la Marcuzzi. E l'asse del water? Loro la lasciano su. E noi? Due volte su tre ci accomodiamo sulla ceramica gelida e malediciamo il giorno in cui ci siamo fidanzate. A meno che loro non siano della banda della goccia e a noi tocchi far pipì in bilico come le guide alpine. Loro si tagliano le unghie dei piedi sparandole ovunque come boomerang e noi lasciamo i capelli in giro come liane. E poi c'è la polemica del dentifricio. noi che siamo creative lo schiacciamo a caso, da metà, dall'alto, come un brufolo, come un campanello. E loro si imbufaliscono... loro, che lo spremono da anni con certosina precisione dal basso verso l'alto. Peccato che tutto 'sto puntiglio non lo mettano nel fare la doccia. Le loro docce sono alluvioni. Disastri naturali. Tocca chiedere lo stato di calamità. Ripicca migliore non c'è che usare il loro rasoio per depilarci i polpacci. Noi facciamo tric tric e loro... sbrat... si scarnificano come Scarface. Io lo faccio sempre, ma di nascosto, perché se lui mi becca mi gira la testa al contrario come si fa per uccidere i polpi.



Tette e matite


Esperimento fallito, porca di una miseria...non l'avrei mai detto. Mi sentivo così sicura, così piena di me e invece... sarà stato un caso? Boh, io intanto col cavolo che ci riprovo. A far cosa? La prova matita. Quella per verificare la prestanza delle tette. Vuoi sapere se il tuo è ancora un seno che può dare qualche soddisfazione? Fai così.
Prendi una matita e sistemala lì sotto. Se cade, tutto ok. Vuol dire che le tue tette se ne stanno ancora su, belle tronfie e sparate verso il cielo in atto di ringraziamento. Se invece la matita rimane incastrata là sotto come in un portapenne naturale, allora attenta a quelle due perché non tarderanno a deluderti.
Io devo essere disossata perché una matita cade e l'altra rimane incastrata. Vuol dire che sono dissociata anche in fatto di tette? Non ci posso credere. Ho provato persino con un pennarello di quelli indelebili, per il vetro... uguale!
Secondo me è l'esperimento che è poco attendibile. No, dico... metti che sei piatta come un vassoio... chiaro che la matita cade... non ce l'hai il seno, sei piallata come una tavola da windsurf.
Chissà se la Marcuzzi ha mai fatto l'esperimento! Mi sa che a lei sotto le tette stanno intere confezioni da venti quattro di pastelli a cera a punta larga.
Certo che siamo piene di fisse. Gli uomini mica la fanno la prova matita. Magari a quindici anni sperimentano il sistema metrico decimale calcolando la lunghezza della loro virilità ma poi la smettono. Noi no. Siamo severissime con noi stesse e poi accomodanti come una cuccia d'anguria quando si tratta di uomini. Diciamola questa verità. Per dire... Lucy adesso sta con uno che ha cento denti di cui almeno una diciottina non sono suoi. sembrano fatti di latte condensato. Molly flirta con un infermiere che fa i prelievi e ci ha la faccia da Nosferatu e Cresy con una specie di Mister Bean ma più brutto. Se ne vedono proprio di cozze e di crude.

Donna baffuta sempre piaciuta. Ma a chi?

è inutile foderarsi gli occhi con la pancetta. Fare finta che non sia vero. Madre natura ha deciso così. Anche noi donne, come gli uomini, abbiamo i baffi. Forse un po' meno, a volte, ma li abbiamo.
Una mia vecchia zia era così baffuta che sembrava Che Guevara. Cosciente dell'orrore, l'universo delle femmine si divide in tre grandi fazioni. Quelle che dicono: «Se li ho, serviranno». Per cosa? Per riparare il labbro dalle correnti d'aria o per sistemarci le luminarie di San Giovanni? Allora fai così. Tienteli pure. A Carnevale fai direttamente il sergente Garcia, che è una maschera che piace sempre tantissimo. Poi ci sono le donne di centro che invece optano per l'asportazione del pelo. Striscie di miele, rasoio, cesoie. In fondo rancarsi via i baffi è più facile che curarsi il beriberi. Ma purtroppo rimane ancora un gruppo di fesse indefesse. Di femmine trapanate nella testa. Quelle che i baffi li tingono. Quell'ossigeno che non arriva ai loro cervelli finisce sotto i lori nasi. E la cosa terribile è che non si tingono mai le bionde o le squinzie dai capelli dorati. No. Il tinteggiamento è prediletto dalle brune. Le vedi al mercato. Son tarocchi di Barbie con lo scalpo nero come la pece e spighe di grano sotto il naso. Brutte Cucinotte con deliziosi orsetti di peluche aggrappati alle narici. Ma dài, ...
Certo, così non siamo noi stesse al cento per cento. Ma siamo sicure che il nostro cento per cento sia così straordinario e imperdibile? Dubito. A una festa di compleanno mi sono avvicinata la mio amico Pino grande tombeur de femmes, che se ne stava annoiato in un angolo come in attesa del pullman, e gli dico: «Pino? Come va?».
E lui: «Stasera scogliera».
«Come scogliera?»
«Solo cozze.»
Crudele? No. Sincero. Smettiamola di credere che basti come siamo fatte dentro. Siamo noi che baciamo i rospi e quelli diventano principi. Non il contrario, purtroppo.


Anno nuovo, vita identica.

Anno nuovo. Vita? Tendenzialmente identica. Con qualche certezza in più. Tipo Cindy Crawford che nella pubblicità di un aspirapolvere ci fa sapere che detesta gli acari. Fantastico. Doveva venire lei col suo neo dall'America per dircelo. Pensare invece che noi andiamo pazze per gli acari. Li alleviamo con orgoglio negli orli dei tappeti. Con gioia lasciamo che si riproducano negli anfratti del camino. Vai Cindy... torna pure nell'Illinois e, se puoi, portati anche quella bietola di Richard Gere con le sue praline.
Che stanchezza. Non so più cosa sia la tolleranza. Sarà stata la magia del Natale. Eh, sì. D'altra parte sono una donna... E cosa fa una donna durante le feste? Si sfrange l'anima e il corpo. Con una mano ritira la tredicesima e con l'altra paga le bollette, compra i regali ai figli, fa il presepe, addobba l'albero, salda la rata del riscaldamento, sistema le camere per i parenti, fa la spesa, corre dalla parrucchiera, fa il pieno alla macchina, appende il vischio alla porta, cura l'acetone del figlio piccolo che si ammala sempre durante le feste, spedisce gli auguri di Natale ai colleghi del marito, mette a mollo le lenticchie, compra i petardi per il Capodanno e, per non perdere tempo, con una scopa legata al sedere, spazza il parquet.
E l'uomo? Sto balengo? Si mette il costume rosso e la barba bianca e fa Babbo Natale. Stop. Sto grandissimo minchione. Poi gioca tutto il tempo con i figli e dice: «la mamma di giocare non ne ha più voglia perché non è rimasta bambina come me!».
Tu non sei rimasto bambino, amore mio invertebrato, sei rimasto cretino... capisci? Son quelle tre o quattro letterine che fanno la differenza. Per te, amore mio, il massimo della trasgressione è dormire senza mutande... lo sai, fragolina mia di bosco che sei come il prosciutto di spalla coi polifosfati. A mangiarlo non è che muori ma a lungo andare ti danneggi la salute. Ah, dimenticavo. Le vedi quelle corna scintillanti rimaste sotto l'albero? Sono per te.

Su la testa.

C'è un segnale inequivocabile. Un'azione apparentemente innocua. Un piccolo gesto che annuncia che... ok, hai cominciato finalmente a prendere la tua vita tra le mani: è quando riesci a dire al tuo parrucchiere che il taglio che ti ha fatto fa schifo. Che persino la cavia peruviana di tua cugina è pettinata meglio. Che la frangia non te l'ha scalata, te l'ha mozzata come una coda di un mulo e che, per non dare nell'occhio, non ti rimane che ragliare. Che se quella che ti ha fatto è una tinta, che vada a graffitare le metropolitane di Milano, Che persino le siepi di agrifoglio tremerebbero all'idea di farsi potare da lui.
Prima o poi ci farò un libro: Lo Zen e l'arte di mandare a stendere il tuo parrucchiere. Devo spiegarlo io? I capelli di una donna sono il termometro della sua anima. Quando una purilla sta male, cosa fa? Va dal parrucchiere. Prima ancora che dall'analista. Mette quel che ha di più vuoto tra le mani del coiffeur e si abbandona fiduciosa. E magari, all'improvviso, l'incoscienza gli dice la fatidica frase: «Fai tu.»
Dire a un parrucchiere «fai tu» è un po' come decidere di fare boungee jumping senza elastico. Armato solo del suo ego colossale, come un boia al patibolo, lui darà mano alle forbici e taglierà. Tanto. Quei bei tagli asimettrici, sfilacciati, impettinabili, portabili al massimo in sfilata a Milano Collezioni. E mentre mieterà e falcerà ti dirà: «Tesoro, sei bellissima... ti mancano solo le ali per essere un angelo...» e tu penserai: «Ho le scapole alate, andrà bene lo stesso?» E soprattutto: "Quanto ci metterà mai un capello a ricrescere? Un mese? Un anno? Un decennio?".
Meglio così, comunque, che scegliere l'acconciatura sfogliando quei tremendi giornali che trovi solo dai parrucchieri, stampati in una specie di segreta tipografia di categoria, Un misto di teste a pera e tagli da Basil l'investigatopo.
E poi c'è il tocco finale. Una volta bastava la lacca a inchiodarti le chiome come Marion Cunningham di Happy Days. Adesso si va di gel, olio, schiuma, silicone... E così esci dal negozio che ci hai i capelli unti come dopo una settimana di influenza.