20081030

Anche questa sembra scritta oggi...







Avanti... !



Ciao.

Sono Valentina, chiamo da Firenze e vorrei dedicare questa canzone a tutta la III° C del Liceo Scientifico "Leonardo Da Vinci", ad Antonello, Michele, Davide, Francesco e a tutti quelli che mi conoscono.

Grazie.





20081017

The right thing



Mi sembrava la serata giusta per scriverlo perché vorrei che da stasera si chiudesse un ciclo e approfitto del fatto che proprio stasera, essendo fisicamente distrutta, riesco a concentrarmi molto meglio e in maniera più concisa sui fatti, senza fronzoli, come piace a me.

Pino lo conobbi tramite una pittrice, tale N.A., che me lo presentò durante una sua esposizione in una galleria nei pressi di Porta a Prato, credo fosse nel 1999.

Era un uomo di mezza età, regista teatrale per diletto, sempre indaffarato o
incasinato tra la miriade di idee e copioni decisamente originali.

Frequentavo già da diverso tempo un gruppo di improvvisazione teatrale e mi entusiasmava la possibilità di fare esperienze diverse e conoscere gente nuova.

L'occasione fu una particina per la "Festa del Gatto" (ironia, ironia...) di cui non conoscevo l'esistenza, nel periodo di febbraio.
Non si svolgeva proprio in un teatro ma c'era comunque un palco e una parte da recitare.

Andò bene, ero in sintonia con gli altri del suo gruppo e mi richiamò per altre particine semplici.

Pino, tanto per far capire il genere di persona, era capace di "raccattare" chiunque capitasse per strada e senza conoscerlo minimamente sbatterlo dentro
uno stanzino a fare il "tecnico delle luci", e tutto questo poco prima di andare in scena: "tu improvvisa" diceva a chi si lamentava e questo doveva bastare perché non so come fosse possibile ma riusciva a convincerti sempre.

Una sera mi chiamò e mi invitò a casa di una sua vecchia amica, una importante diceva, una poestessa che scriveva fiction per la televisione e collaborava con diversi poeti conosciuti.

Vieni vieni la devi conoscere ha una poesia scritta tempo fa le sembra adatta per una mostra sta cercando una giovane donna che la reciti per una serata dedicata alla Luna (ironia, ironia...) l'ambiente è bellissimo sai le Murate ci sei mai stata c'erano le suore un tempo vedessi al soffitto ci sono le grate sembra una prigione tu praticamente sbuchi all'improvviso in mezzo ai quadri la reciti e finisce lì.

In un appartamento nella zona di Campo di Marte conobbi allora Maria Pia Moschini.

Gentile e accomodante, mi spiegò brevemente il significato di quello che avrei dovuto recitare, leggemmo la poesia insieme, e mi disse solo:

"Falla tua, questa sei tu".

In quel momento non potevo certo immaginare che la mia vita avrebbe preso veramente la direzione descritta e, grazie a Dio, anche l'avvio a quella conclusione.

Mi preparai da sola e non chiesi a nessuno di venirmi a vedere, io credo di averlo fatto apposta per potere, un giorno, incolpare qualcuno di avermi lasciato sola in quel momento, per potermi compatire e piangere in solitudine vinta dal mio vittimismo perché se voglio sì anch'io sono capace di fare la vittima.

Preparai la "valigia di scena", una giacca nera, una gonna stretta, tacchi alti, un cappello da uomo, una camicia bianca, una cravatta, un libro, occhiali da intellettuale e un tulle sottile.

Mi ricordo quella sera, in una piazza attigua, sola come un cane, che ripassavo la parte tremando di paura ed emozione e, come succede sempre, non ricordavo assolutamente niente.

Quando, qualche giorno fa, ho riletto il brano ho pensato proprio all'inizio di questa mia avventura virtuale, alle scelte che ho fatto, a come ero quando tutto è cominciato e a come sono adesso, a come sto lottando per arrivare a quel tipo di "perfezione dell'anima".

Non manca molto.

Un lungo pianto liberatorio.

UNICUM (Intravisioni) - scritta a Firenze il 13/03/1999, Maria Pia Moschini

UNICUM

Fuori tira un vento d'azzardo: ti trascina, ti porta come foglia.
Ho smarrito la strada molte volte prima di trovare la porta,
la Gran Porta.

è scritto qui, l'inchiostro ha perduto colore per la pioggia, le lacrime.
Il dolore di non sapere chi sono.
Da quanto tempo? Il giorno che decisi di cercare me stessa è lontano,
eppure sembra ieri.
So come mi sono persa.
Camminavo convinta d'esser io, quando da una vetrina qualcuno mi fissò
con viso d'altri.
Non mi conobbi. Sapevo d'esser lì, nell'immagine a specchio,
ma non tornava il conto.

Un uomo mi guardava, l'uomo che è in me, il mio apparire
forte a tutti i costi.
Ho capito in un soffio che mi era stato chiesto per troppo tempo
di dar prova in duelli di una forza segreta
che non ebbi nel nascere.
Come animale avvezzo alla battaglia, chiusi il mio esser donna
dietro una sigaretta, in un cappello...
anche il tono di voce era cambiato.
Piccola cosa, invece, il Me Bambina gridava di paura
in un cantuccio d'anima.
Chiedeva di essere visto.
Poi, di colpo, la scelta.

Essere donna fino in fondo. Reggicalze, capelli, trucco, sì trucco,
perché sotto la maschera adocchiante
batteva un cuore trepido, non certo di cocotte.
Ma gli uomini volevano una me transitoria,
un bell'oggetto morbido su cui giacere.
Tornavo dentro me stessa, come vinta.
Non capivo l'inutile equilibrio del tacco alto, il seno in trasparenza.
Mi piacevo? Chissà... Stavo chiusa dentro un piccolo armadio,
cercando nel mio cuore la perfetta adesione
fra essere e apparire.

Poi naufragai in un libro. Fu per rendermi a tratti interessante.
Un intellettuale? Neanche. Una moda, un sentire le parole degli altri
per salire dal corpo a un'altra meta.
La mente o altro.

Cambiavo nome. Marty fu il mio maschile, poi Martina la bella,
Martha con l'acca come un respiro, l'erudita.
La saggia.
Il nome era un cappello. Marte, dio della guerra,
non trasferiva in me la forza,
il gesto che ci rende vincenti.
Io rimanevo chiusa dietro finestre, aspettando
la notte.
Poi, qualcuno, mi spinse in questo luogo
come in pellegrinaggio, a cercar l'anima,
l'identità, me stessa.

Sono partita ormai da tanto tempo senza arrivare
ed ora che son qui mi sento persa.
Niente è come pensavo. Nessuno che mi accolga.
Questi soffitti così alti, lontani, una prigione a sbarre
un luogo oscuro.
Dov'è l'essenza che mi rileva, l'essenza del mio dire?
Spogliata di tutte le difese, sono qui pellegrina ferita, inerme,
ritornata ad un grembo senza madre.
O questo era il mio fondo, la base di un percorso
che il dolore ha tracciato fino all'approdo?

Spogliarsi di ogni travestismo, fino alla nudità vergine di un pensiero
all'essere se stessi fino in fondo.
Esco dalla voragine, dal buio nascondimento,
ora incontro me stessa davanti a tutti, senza vergogna alcuna.
Sono così, guardate, donna, uomo, cocotte, bambina sola...
sono così un tuttuno, nel silenzio.

UN UNICUM

Sono me stessa nell'impronta del piede, nel segno della mano.
Senza specchi. Me stessa negli occhi vostri,
nel mio essere accolta in mani d'altri.

Si ritrova chi prima si è perduto.

L'uscita è da noi stessi come un fiume che trasporta all'origine.
Chi siamo? Siamo tutti e nessuno a fasi alterne,
ma non c'è più terrore. Il mondo è un pulviscolo lento,
senza certezze
è il navigare l'unica condizione al timone di un nulla.

Copritemi di un velo, rinascerò mutata. Io farfalla di me,
libera, in volo, senza peso né odore.

Un fiore, allora... un fiore.


Grazie Maria Pia.