20090311

Cultura "retrò"



Il mio primo libro erotico l'ho letto per puro caso all'età di 13 anni. Il motivo principale era la curiosità per qualcosa che ancora non conoscevo ma per cui, indubbiamente, provavo un certo interesse. Col passare degli anni ho continuato ad appassionarmi a questo genere di letture e ancora, con il mio avvio "all'atto pratico" (che in questo caso però non mi riguarda) ho riservato il mio interesse a cercarne una sorta di "origine storica".

Nella letteratura erotica si ritengono i Sonetti Lussuriosi di Pietro Aretino come l'avvio alla pornografia e credo che questa definizione nasca soprattutto dal tipo di linguaggio che l'Aretino usa (esplicito).
Un secolo prima di lui però vi erano altrettanti scritti proibiti che usavano molto spesso prendere di mira il clero con l'immaginabile conseguenza di scomunica e accuse di blasfemia.
Erano scritti prevalentemente in latino per una sorta di prudenza essendo una lingua dotta che non tutti potevano comprendere.
Quello che riporto a titolo esclusivamente culturale è un brano tratto da Liber Facetiarum, scritto tra il 1438 e il 1452 da Poggio Bracciolini.
Più che l'aspetto "pruriginoso" del breve racconto mi piace sottolineare l'ironia e lo scherno ai danni dell'ignoranza.

Una brevissima premessa ai fini della più completa comprensione del profilo letterario: in vari sonetti del tempo la sodomia è "riservata". Ad esempio in uno di quelli scritti da Aretino si legge che alla donna decisa ad averlo «in cul» l'amante risponde che non vuole macchiarsi di questo peccato «perché questo è un cibo da prelato».


Uno dei nostri villici, un tipo non troppo sveglio, prese moglie senza avere neppure un po’ di esperienza in pratiche d’amore. Il caso volle che una notte, a letto, quella volgesse schiena e natiche al marito, premendoglisi contro, al punto che con il membro costui giostrò l’occasione senza pensarci su molto. Felicissimo del risultato, domandò alla donna se davvero avesse due fiche, e alla sua risposta affermativa «benissimo», disse, «una mi basta, l’altra è d’avanzo». La furbacchiona, che se la faceva col piovano del quartiere, ribatté: «Perché non ne facciamo elemosina? Dammi retta, doniamola alla Chiesa e al nostro caro piovano, che ne sarà contentissimo; e a te non verrà nessun danno, visto che una sola ti è bastante». L’uomo si mostrò d’accordo […] così, dopo un invito a cena e il resoconto del caso, se ne andarono a letto in tre, con la donna nel mezzo, il marito davanti e il piovano dietro, perché si potesse godere il regalo. Il prete, affannato e voglioso della pietanza tanto ambita, attaccò battaglia per primo sul fronte riservatogli, il che mandava in sollucchero la donna, facendole lanciare qualche gridolino. Temendo allora un’invasione di campo, il marito avvertì: «Rispetta i patti, amico, e serviti della tua parte senza toccar la mia!» e il prete: «Che Dio mi riguardi! Perché dovrei occupare i tuoi possedimenti quando posso sfruttare i beni della Chiesa?».

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