20091123

Cu nasci tunnu

Il Cinno

Racconto di Stefano Benni


La spalla del barista è il Cinno, ovvero il ragazzo di bar, altrimenti detto fattorino. Il Cinno ha una bella faccia rosea bombardata di brufoli e vive in simbiosi con la sua bicicletta, la bicicletta del Cinno.
Con essa il Cinno piomba come un falco in tutti i punti della città, supera gli autobus in corsa, atterrisce i cani e sgomina i vigili. Il Cinno, nell'andare in bicicletta, ha una serie di regole fisse:

a) è severamente vietato mettere le mani sul manubrio. Questo non solo quando si hanno le mani impegnate con un vassoio di tazze, thermos e maritozzi, ma in ogni altra occasione.

b) l'andatura da Cinno dev'essere altalenante, ovvero la bicicletta deve dondolare da sinistra a destra e viceversa, sfiorando il suolo, di modo che nel raggio di venti metri non si frappongano ostacoli viventi.

c) Si cade sempre e solo sulle ginocchia, qualunque sia la dinamica dell'incidente. Questo crea il famoso ginocchio da Cinno, uno dei problemi della medicina moderna. Esso è costituito da un arcipelago di croste e crostoni, che si rigenera continuamente.

d) Mentre pedala, il Cinno canta.

e) La via normale del Cinno è costituita da: marciapiedi, portoni, androni, giardini, portici. la strada è accuratamente evitata, perché pericolosa e perché le donne sono chiuse dentro le macchine e si vedono peggio. Tutto questo comporta, naturalmente, che il Cinno sia molto odiato da vigili, pedoni e benpensanti.

Come si diventa Cinno? Si diventa Cinno perché non si ha più voglia di studiare. Alcuni lasciano la scuola e fanno i vicedirettori nell'azienda del babbo. Altri si mettono a fare borse e cinture. Altri ancora si fanno passare un piccolo stipendio mensile, si iscrivono ad Architettura e partono per il Gargano. Altri, inspiegabilmente, preferiscono diventare Cinno. Qualcuno parla di vocazione, altri di ragioni sociali.
Come che sia, Cinno non si diventa da un giorno all'altro.


Come si diventa Cinno.

Il piccolo Masotti, il primo giorno di scuola, non piangeva come tutti gli altri bambini. Mangiava un fruttino di cotognata e si guardava intorno. Piangevano, invece, i Masotti genitori, perché era il giorno che sognavano da anni. Il piccolo Masotti fu inquadrato con tanti bambini neri e tante bambine bianche. Il direttore, un uomo dallo sguardo severo e i modi bruschi, li guardò sfilare tutti davanti senza dire una parola. Quando passò Masotti lo fermò, e gli disse: «Tu aggiustati il fiocco» e fece l'atto di toccarlo. Il piccolo Masotti estrasse dal grembiulino nero una gambina secca e piena di bozzi da caduta di bicicletta, e colpì il direttore al cavallo delle braghe.
Ebbe così inizio la carriera scolastica del piccolo Masotti.

Il piccolo Masotti era figlio unico di due Masotti. Masotti padre era camionista e portava pesce refrigerato su e giù per l'autostrada. Triglie giapponesi, merluzzi di Hong Kong e un rombo di Cattolica a far da guardia. Guidava tutta la notte con la sola compagnia di un pacchetto di nazionali e una foto a colori di Ava Gardner, con un autografo falso fatto dalla moglie. Non aveva mai avuto incidenti, tolta la distruzione di un Mottagrill Pavesi nel 1968 e una caduta nel Po per la quale i pescatori della zona continuarono a pescare per molti anni a seguire. Guadagnava quanto bastava per non morire di fame, ma sognava per il figlio un futuro diverso.

Masotti madre faceva le tendine a fiori con una macchina da cucire a pedali, il casco in testa e una maglia della Legnano per non sciupare i vestiti. Le vendeva agli ospizi e ai camionisti amici del marito, per cui faceva anche la decoratrice. Prendeva un vecchio tre assi e in un giorno lo trasformava in un confortevole chalet svizzero, con vasetti di fiori, fodere con i coniglietti, tappetini e, a richiesta, un abat-jour sul retrovisore. Anche lei sognava per il figlio un futuro diverso.

Fu deciso che il piccolo Masotti si sarebbe laureato e avrebbe fatto l'avvocato. Fu allevato con grandi dosi di minestra e, su consiglio degli amici del bar, con giochi che sviluppavano l'intelligenza, come la battaglia navale e il meccano. Ma il piccolo Masotti non si rivelò subito né geniale né più avanti di quelli della sua età. Le sue corazzate affondavano come biscotti e l'unica cosa che riuscì a fare col meccano fu un metro snodabile da sarto.
Non leggeva Kant, non aveva orecchio per la musica, se gli si metteva la matita in mano disegnava sempre la stessa cosa, una patata, e poi si addormentava. è ancora un bimbo, verrà fuori, dicevano i Masotti genitori, ma erano un po' preoccupati. Masotti padre lo rimpinzava di fosforo, e ogni tanto rubava qualche quintale di merluzzo congelato dal carico e obbligava p.M. (piccolo Masotti) a mangiarlo a merenda. P.M. non protestava, si metteva il pesce in bocca e andava a giocare sotto al camion.

La prima pagella del Masotti fu tutta di 1, con un 3 in ginnastica. Il maestro disse che il ragazzo, si vedeva subito, era svogliato, non seguiva, e passava il tempo a intagliare con un temperino. Aveva già distrutto il suo banco ricavandone due zoccoli olandesi e una mazza da baseball, e doveva tenere i gomiti poggiati sulla porzione del compagno.
Le sue scheggie di legno costituivano un pericolo mortale per la classe, perché partivano come proiettili. Era capace di far decollare, in un giorno, fino a duecento aeroplanini di carta, alcuni dei quali restavano in aria anche dieci minuti oscurando la visibilità. I suoi dettati pesavano come crescenti fritte e trasudavano inchiostro e sudore. Faceva delle a larghe un foglio e doveva fermarsi stravolto a metà della curva.
Fu subito bocciato.

Masotti padre, per l'incazzatura, prese su e andò da Bologna a Taranto in tre ore da casello a casello, tanto che il camion si surriscaldò e arrivò a destinazione un gigantesco carico di fritto il cui odore appetitoso fu sentito in tutta la città dei due mari. La Masotti madre non disse niente, continuò a pedalare sulla macchina da cucire, ma con l'aria triste di chi è rimasto staccato dal gruppo in salita.

Il p.M. fu mandato a ripetizione dal professor Manicardi, bella figura di studioso, che lo legò alla sedia e gli lesse per nove ore Leopardi, tutti i giorni, per tre mesi. Il piccolo Masotti imparò a memoria metà dell'Infinito, poi fece la doccia e dimenticò tutto. Fu bocciato anche l'anno seguente, e poi quello seguente.
Allora Masotti padre gli disse che se non si metteva a studiare non gli avrebbe più dato da mangiare. Il p.M. accusò il colpo. Tutte le notti si sentì la sua voce ripetere «Se un contadino ha nove mele e ne vende la metà...». Studiò per un mese, spostando grandi quantità di mele sul tavolo e contattando tutti i contadini della zona. Alla fine propose come soluzione dieci mele e mezzo e una cambiale di meloni in tre rate. Fu ribocciato.

Il Masotti padre si rassegnò. Invecchiato e con le gomme sgonfie, senza neanche più la forza di suonare il clacson, cominciò a girare in tondo sulla tangenziale senza voler vedere più nessuno. Gli amici gli tiravano al volo panini e giornali dal finestrino, e una volta al mese una battona ex trapezista di circo si lanciava da un Leoncino in corsa per tenergli compagnia.
La Masotti madre, invecchiata e incanutita, aveva smesso di pedalare e allenava una squadra di suore che facevano mutande per carcerati. Il piccolo Masotti, che aveva ormai diciannove anni e stazzava sul quintale, andava a scuola col suo grembiulino che gli copriva metà del torace, e la cartella con la solita vecchia matita, un mozzicone invisibile a occhio nudo, che portava a temperare da un orefice.

Andò avanti, finché i soldi finirono. Un giorno il piccolo Masotti aprì la cartella e non trovò la solita merenda, un panino con una cernia.
Quella sera non tornò a casa.
L'indomani, alle prime luci dell'alba, si presentò al bar.

Era nato un Cinno.


Nessun commento: