20080518

Preziosi imbrogli

Avevo cinque anni e un bel vestito di taffeta che aveva cucito mamma.

Sarebbe successo qualcosa di importante quel giorno se mi avevano permesso di indossarlo e morivo dalla curiosità di sapere.

Le scarpe.

Non volevo pensarci ma speravo che sarebbe stata la volta buona.

Le guardavo a lungo quel paio di ballerine dorate dalla vetrina del negozio nel centro del paese e immaginavo di piroettare leggera davanti allo specchio come le ballerine alla tv.

Le bramavo più di ogni altra cosa ma non osavo chiedere.

Non ho mai chiesto niente.

Una sorpresa, mi diceva la nonna, una sorpresa tutta per me.

Mamma mi baciò senza guardarmi e mi sembrò triste e preoccupata ma sarei ritornata con quelle scarpe ai piedi e le avrei fatto vedere come stavano bene col vestitino giallo chiaro...

Io e la nonna arrivammo in paese ed entrammo in un negozio luminoso e sfavillante.

Il negozio di scarpe però era più avanti, saremmo andate dopo pensavo.

Restammo ad aspettare, il silenzio rotto da tanti ticchettii e rumori di orologi.

Sapevo cos'erano perchè da bambina smontavo le sveglie rotte e aggeggiando, chissà come, le facevo ripartire. Per un po'.

Da una stanzina sul retro arrivò lui.

Era grosso e massiccio, aveva i capelli biondi e lunghi, non era tanto giovane.

Un cenno d'intesa con la nonna e mi prese per mano dolcemente.

Mi portò nella stanzina nascosta e mi fece sedere su uno sgabello alto.

Non sono mai stata una bambina paurosa ma da quel posto non potevo scendere se anche avessi voluto e da lì non riuscivo a vedere la nonna.

Cominciai ad essere agitata.

-Stà tranqulla, sarai molto più bella dopo, l'ho a fatto a tante bambine come te, ormai sei grande...-


Chi era? Che voleva? Cosa mi avrebbe fatto?
Avevo una gran paura ma non volevo dargli la soddisfazione di vedermi piangere, mi limitavo a guardarlo fisso.

Mentre mi teneva d'occhio armeggiava con qualcosa di metallico sotto il banco e all'improvviso la tirò fuori.

Non ebbi il tempo di rendermi conto, mi tenne la testa con entrambi le mani e mi consigliò di stare ben ferma: avrei sentito meno male.

Qualche secondo di metallo gelato sulla pelle delicata e poi, finalmente, lo "sparo".

Piansi non per il dolore né per il terrore che provavo ma per la furbizia, la delusione, l'inganno e il raggiro in cui ero caduta.

Dopo qualche giorno di sangue e crosticine, guardandomi le piccole orecchie decorate con un fioricino di oro e rubino, davvero mi piacevo di più.

2 commenti:

Unknown ha detto...

@Ste: Secondo me no... ma guarda che questo particolare l'hanno notato altri. Ieri l'ho fatto leggere alla mamma, visto che è un fatto realmente accaduto e non un racconto, e mi fa: manca un po d'ironia! Ma come? La mia mamma è estremamente critica riguardo alla mia ironia (spesso mi dice che un giorno qualcuno mi darà due "babbuccioni") e qui che proprio non volevo essere ironica la cercava!
Chi la capisce quella donna?
:)

@__: Come sarebbe non sempre si legge? In che senso?????

@Alì: No per carità! Raramente mi sono cimentata a scrivere qualche breve racconto ma sono troppo soggetta ai miei stati d'animo per essere costante e finirli.
I ripetitori afgani sono ancora intatti? :)

Unknown ha detto...

@Alì: non hanno tutti i torti però mi sembra un'esagerazione. Non hanno mezze misure... è troppo! :)